Oggi pomeriggio ho ripreso in mano un fascicolo di una vecchia pubblicazione DeAgostini intitolata Scrivere, nella quale ci sono alcuni brevi interventi di Antonio Serra e Alberto Ostini, fra cui il seguente:
"Un personaggio ben riuscito avrà delle zone di contatto e sovrapposizione con i lettori, in modo da agganciarli. Ma allo stesso tempo dovrà deviare per vivere quelle avventure e quelle emozioni che noi lettori cerchiamo nella narrazione proprio perché non le possiamo vivere nella realtà. Una perfetta identificazione renderebbe la nostra storia noiosa. Una totale divergenza la porterebbe così lontano da noi da non riguardarci e non interessarci ugualmente. Su questo gioco di equilibrismo tra identità e differenze si costruisce la fortuna di ogni buon personaggio" (A. Serra e A. Ostini, "Il gioco delle identità", su Scrivere n. 5, DeAgostini 2007, p. 12).
Leggendo queste righe, qualche settore di memoria del mio hard disk cerebrale si è risvegliato e, dopo una veloce ricerca, è andato a ripescare un testo di Umberto Eco che non leggevo da secoli: La struttura assente. Fra i temi trattati in questo saggio, c'è quello del messaggio estetico e della necessaria e opportuna dose di ambiguità che deve portarsi dietro, appunto per essere un messaggio estetico e non semplicemente informativo.
"Una ambiguità produttiva è quella che risveglia la mia attenzione e mi sollecita ad uno sforzo interpretativo, ma poi mi consente di trovare delle direzioni di decodifica [...]. Accade al messaggio estetico quello che accadeva all'intreccio tragico secondo le reogle della poetica aristotelica: l'intreccio deve fare accadere qualcosa che ci sorprenda, qualcosa che vada al di là delle nostre attese [...]; ma perché questo evento sia accettato e ci si possa immedesimare in esso bisogna che, al tempo stesso in cui appare incredibile, obbedisca a delle condizioni di credibilità" (U. Eco, La struttura assente, Bompiani 1968, p. 63).
Il personaggio come l'intreccio? Sì, perché sono entrambi strategie testuali. Sia l'uno che l'altro devono obbedire a quel famoso requisito di equilibrio tra l'ordinarietà e l'eccezionalità.
Niente di nuovo sotto il sole, per carità, ma questi piccoli risvegli di neuroni sono sempre piacevoli. :-)
Questo è il blog di Valentina Semprini. Parla di fumetti, musical, vita privata e altro. Quindi contiene chiacchiere, segnalazioni, immagini, video, riflessioni, sfoghi, recensioni... insomma, è un blog: che vi aspettavate? :-)
domenica, gennaio 31, 2010
venerdì, gennaio 29, 2010
La teiera twitterante
Ho appena scaricato il file "A World of Connections", pubblicato dall'Economist, un bel pidieffino dedicato ai social media, dopo averlo visto segnalato sul blog di Luisa-Carrada-santa-subito. Per ora l'ho appena sfogliato, ma un'immagine in particolare ha catturato la mia attenzione:
Fantastica via di mezzo tra un'illustrazione, un grafico, e un po' anche un fumetto. Ve la ricordate quella storia contenuta nel volume Il respiro e il sogno, di Berardi e Milazzo, dove i balloon dei protagonisti non contenevano parole ma immagini? Ecco, più o meno ho provato la stessa sensazione un po' strana ma anche intrigante (fermo restando che, ovviamente, Il respiro e il sogno era pieno di una poesia e una dolcezza che non posso pretendere da questa teiera né dal contesto in cui viene citata).
Il testo nei pressi dell'immagine recita, fra le altre cose: "Ascoltali abbastanza a lungo [i profeti di networking e socialmedia, ndS] e alla fine avrai l'impressione che presto la tua teiera passerà il tempo a scrivere su Twitter cosa hai mangiato a colazione".
Se anche il resto del file è così simpatico e fantasioso, leggerlo mi piacerà un mucchio. O magari mi sono affezionata a quell'immagine semplicemente perché sono una teinomane. :-)
Fantastica via di mezzo tra un'illustrazione, un grafico, e un po' anche un fumetto. Ve la ricordate quella storia contenuta nel volume Il respiro e il sogno, di Berardi e Milazzo, dove i balloon dei protagonisti non contenevano parole ma immagini? Ecco, più o meno ho provato la stessa sensazione un po' strana ma anche intrigante (fermo restando che, ovviamente, Il respiro e il sogno era pieno di una poesia e una dolcezza che non posso pretendere da questa teiera né dal contesto in cui viene citata).
Il testo nei pressi dell'immagine recita, fra le altre cose: "Ascoltali abbastanza a lungo [i profeti di networking e socialmedia, ndS] e alla fine avrai l'impressione che presto la tua teiera passerà il tempo a scrivere su Twitter cosa hai mangiato a colazione".
Se anche il resto del file è così simpatico e fantasioso, leggerlo mi piacerà un mucchio. O magari mi sono affezionata a quell'immagine semplicemente perché sono una teinomane. :-)
giovedì, gennaio 28, 2010
Un macaco e tre macache
Nuova puntata della serie "le pubblicità imbecilli".
Una tipa invita a pranzo due amiche e un amico. Lui, mentre a tavola fa il brillante cercando di mettere insieme un gioco di prestigio, si macchia la camicia, sicché la padrona di casa gentilmente si offre di lavargliela sul momento, utilizzando una nota marca di detersivo. Lui resta in maglietta, mentre la tipa si avvia verso la lavatrice.
Che fanno le due amiche? Restano tavola con lui? Nooo! Si alzano e seguono la tipa, perché è molto più interessante farsi raccontare vita morte e miracoli di un detersivo, piuttosto che fare educatamente compagnia (almeno una delle due!) a un ospite. Così passano una vita in bagno ad ascoltare 'sta specie di comizio sul detersivo, finché si arriva a uno stacco e la telecamera torna a riprendere il salotto, dove le tre amiche fanno trionfalmente ritorno con la camicia lavata e stirata (ma sono rimaste tutto il tempo a fissare la lavatrice aspettando la fine del lavaggio? e poi giù ferro da stiro e olio di gomito?).
Lui, ovviamente, non ha nemmeno pensato di alzarsi o di dare una mano per lavarsi la SUA camicia; è rimasto bel bello a gozzovigliare, perché si sa, lavare i panni e cucinare è roba da donne, invece starsene spaparanzati a tavola a ingozzarsi di cibo è attività implicitamente connaturata all'essere uomo...
Insomma, sempre per la serie "parità dei sessi gìrati dall'altra parte, che qui c'abbiamo altro da fare che starti a sentire".
Una tipa invita a pranzo due amiche e un amico. Lui, mentre a tavola fa il brillante cercando di mettere insieme un gioco di prestigio, si macchia la camicia, sicché la padrona di casa gentilmente si offre di lavargliela sul momento, utilizzando una nota marca di detersivo. Lui resta in maglietta, mentre la tipa si avvia verso la lavatrice.
Che fanno le due amiche? Restano tavola con lui? Nooo! Si alzano e seguono la tipa, perché è molto più interessante farsi raccontare vita morte e miracoli di un detersivo, piuttosto che fare educatamente compagnia (almeno una delle due!) a un ospite. Così passano una vita in bagno ad ascoltare 'sta specie di comizio sul detersivo, finché si arriva a uno stacco e la telecamera torna a riprendere il salotto, dove le tre amiche fanno trionfalmente ritorno con la camicia lavata e stirata (ma sono rimaste tutto il tempo a fissare la lavatrice aspettando la fine del lavaggio? e poi giù ferro da stiro e olio di gomito?).
Lui, ovviamente, non ha nemmeno pensato di alzarsi o di dare una mano per lavarsi la SUA camicia; è rimasto bel bello a gozzovigliare, perché si sa, lavare i panni e cucinare è roba da donne, invece starsene spaparanzati a tavola a ingozzarsi di cibo è attività implicitamente connaturata all'essere uomo...
Insomma, sempre per la serie "parità dei sessi gìrati dall'altra parte, che qui c'abbiamo altro da fare che starti a sentire".
martedì, gennaio 26, 2010
Nine
Non m'importa se negli USA è stato un mezzo flop, non m'importa se la locandina è banale, non m'importa se dal trailer sembra un incrocio fra "Chicago", "Moulin Rouge" e "The Phantom of the Opera"... spero tanto di riuscire a vederlo!!!
lunedì, gennaio 25, 2010
Sveeegliaaaaaaa!
Lavorare in ambienti quali riviste, uffici stampa, organizzazione di eventi, implica avere sempre a che fare con un grande nemico: il tempo.
Per esempio:
Che scadenza mi dai per scrivere l'articolo?
Quando si tiene l'evento e quanto tempo ho per organizzarlo?
Quando va in stampa il volantino e con quanto anticipo devo mandare i testi?
La capacità di organizzarsi tenendo bene a mente il fattore tempo sembrerebbe una cosa ovvia, un requisito essenziale se si vuole lavorare in questo tipo di settori. Possono capitare dei disguidi e degli imprevisti, ma in linea di principio calendarizzare le tappe non dovrebbe essere un'impresa così inusuale o titanica.
Invece noto che, sempre più spesso, lo diventa.
"Mi scrivi due righe veloci su questa cosa? Mi serve subito! In effetti dovevo chiedertelo la settimana scorsa ma poi non ho fatto in tempo..."
"Non è che stasera puoi portare a cena l'ospite Tizio De Tizis? Io non posso, devo andare alla recita di Natale di mio figlio..."
"Siamo senza copertina per il prossimo numero, me lo rimedi un copertinista al volo? Digli che ha un paio di giorni per farci il disegno."
Sono cose che detesto. Capisco che possono succedere, capisco che non sempre si riesce ad organizzarsi, so di averne combinate anch'io in passato (peraltro scusandomi in mille modi e strisciando in ginocchio sui ceci dinanzi agli altri interessati), ma le detesto lo stesso. Odio le improvvisazioni che si potrebbero evitare. Soprattutto quando anche io sono coinvolta in una certa attività, che cerco di gestire in modo che non sia un'improvvisazione, e poi altri collaboratori invece se la prendono comoda, salvo poi accorgersi all'ultimo minuto se manca qualcosa o se ci sono degli intoppi.
Per esempio: giovedì scorso (il 21), spedisco al collaboratore Pinco Pallo del materiale relativo a un evento, che si svolge domani (martedì 26) in una location di competenza di Pinco Pallo medesimo, in modo che Pinco Pallo possa promuovere l'evento stesso. Nella mail che invio a Pinco Pallo, oltre ad allegare il file con le informazioni necessarie, aggiungo due righe per spiegare un paio di dettagli utili ad estrapolare, dal mio file, gli elementi più comodi per fare promozione. Oggi, Pinco Pallo mi telefona dicendomi: "Maaaa, per quel file che mi hai mandato... non è che avresti qualcosa di un po' più preciso, da cui estrapolare le cose utili per un comunicato stampa? Perché sai, l'evento si tiene domani e andrebbe un po' promosso..."
Oggi ti viene in mente che devi promuovere un evento che si tiene domani?
Oggi ti rendi conto che non riesci a cavare le zampette dal materiale che io ti ho mandato cinque giorni fa?
Oggi vorresti che io ti spedissi subitissimo del materiale nuovo in modo da fare in tempo a usarlo per la tua pianificatissima promozione?
Gli ho semplicemente ripetuto quello che gli avevo già scritto per email su come utilizzare al meglio le nozioni contenute nel mio file, ho aggiunto un chiarimento a cui in effetti avrei potuto provvedere meglio nel famoso file, e abbiamo concluso la telefonata. Eccheccavolo.
Per esempio:
Che scadenza mi dai per scrivere l'articolo?
Quando si tiene l'evento e quanto tempo ho per organizzarlo?
Quando va in stampa il volantino e con quanto anticipo devo mandare i testi?
La capacità di organizzarsi tenendo bene a mente il fattore tempo sembrerebbe una cosa ovvia, un requisito essenziale se si vuole lavorare in questo tipo di settori. Possono capitare dei disguidi e degli imprevisti, ma in linea di principio calendarizzare le tappe non dovrebbe essere un'impresa così inusuale o titanica.
Invece noto che, sempre più spesso, lo diventa.
"Mi scrivi due righe veloci su questa cosa? Mi serve subito! In effetti dovevo chiedertelo la settimana scorsa ma poi non ho fatto in tempo..."
"Non è che stasera puoi portare a cena l'ospite Tizio De Tizis? Io non posso, devo andare alla recita di Natale di mio figlio..."
"Siamo senza copertina per il prossimo numero, me lo rimedi un copertinista al volo? Digli che ha un paio di giorni per farci il disegno."
Sono cose che detesto. Capisco che possono succedere, capisco che non sempre si riesce ad organizzarsi, so di averne combinate anch'io in passato (peraltro scusandomi in mille modi e strisciando in ginocchio sui ceci dinanzi agli altri interessati), ma le detesto lo stesso. Odio le improvvisazioni che si potrebbero evitare. Soprattutto quando anche io sono coinvolta in una certa attività, che cerco di gestire in modo che non sia un'improvvisazione, e poi altri collaboratori invece se la prendono comoda, salvo poi accorgersi all'ultimo minuto se manca qualcosa o se ci sono degli intoppi.
Per esempio: giovedì scorso (il 21), spedisco al collaboratore Pinco Pallo del materiale relativo a un evento, che si svolge domani (martedì 26) in una location di competenza di Pinco Pallo medesimo, in modo che Pinco Pallo possa promuovere l'evento stesso. Nella mail che invio a Pinco Pallo, oltre ad allegare il file con le informazioni necessarie, aggiungo due righe per spiegare un paio di dettagli utili ad estrapolare, dal mio file, gli elementi più comodi per fare promozione. Oggi, Pinco Pallo mi telefona dicendomi: "Maaaa, per quel file che mi hai mandato... non è che avresti qualcosa di un po' più preciso, da cui estrapolare le cose utili per un comunicato stampa? Perché sai, l'evento si tiene domani e andrebbe un po' promosso..."
Oggi ti viene in mente che devi promuovere un evento che si tiene domani?
Oggi ti rendi conto che non riesci a cavare le zampette dal materiale che io ti ho mandato cinque giorni fa?
Oggi vorresti che io ti spedissi subitissimo del materiale nuovo in modo da fare in tempo a usarlo per la tua pianificatissima promozione?
Gli ho semplicemente ripetuto quello che gli avevo già scritto per email su come utilizzare al meglio le nozioni contenute nel mio file, ho aggiunto un chiarimento a cui in effetti avrei potuto provvedere meglio nel famoso file, e abbiamo concluso la telefonata. Eccheccavolo.
domenica, gennaio 24, 2010
Sette in un colpo
Una delle cose che più mi intrigano, nella lettura dei fumetti, è l'osservazione delle scelte compiute da sceneggiatori e disegnatori in termini di scansione temporale, quando si tratta di rappresentare eventi molto vicini gli uni agli altri. Per esempio mettiamo che un personaggio spari a un altro: si può disegnare una vignetta in cui parte il colpo, la successiva in cui il colpo manca il destinatario, e magari una terza vignetta in cui il destinatario esclama "dannazione!", oppure si possono condensare due passaggi in uno, o addirittura tutti e tre in uno usando una bella profondità di campo, oppure inserire dei passaggi ulteriori per ottenere un effetto rallenty... insomma ci sono tante possibilità diverse. Per me la situazione più affascinante è quella in cui in una sola vignetta si fanno stare un sacco di cose, senza che per ciò la vignetta stessa risulti appesantita o troppo piena.
Ecco un esempio di vignetta che, nella sua apparente semplicità, a mio avviso è un piccolo capolavoro:
E' tratta da "Paperina di Rivondosa", testi e disegni di Silvia Ziche. Questa storia, dopo essere stata serializzata su Topolino, è uscita da qualche anno anche in volume; ogni tanto me la rileggo perché la trovo sempre fresca e comicamente appassionante.
In quella vignetta, tanto per dire, succedono sette cose insieme:
- La contessa Agnese esclama "Paperina!"
- La contessa Agnese allunga il piede in avanti
- Paperino inciampa nel piede della Contessa Agnese generando il suono "pic"
- Paperino compie la traiettoria semicircolare rappresentata dalla doppia linea cinetica
- Paperino impatta col terreno generando il suono "crash"
- Paperina si gira di scatto
- Paperina chiede "Sì, signora?"
O meglio, è evidente che quelle sette cose non succedono proprio insieme, ma Silvia Ziche le piazza tutte in una sola vignetta: il disegno in quanto tale non può che limitarsi a rappresentare un singolo istante (in cui l'azione più evidente è lo schianto a terra di Paperino), eppure la ricchezza degli elementi (personaggi, battute, onomatopee) e il senso di lettura conducono occhio e cervello del lettore ad assimilare il tutto come se si trattasse di una veloce sequenza di azioni, con elementi che precedono lo schianto di Paperino ed altri che lo seguono.
Un piccolo gioiello, contenuto in un già di per sé prezioso scrigno.
Ecco un esempio di vignetta che, nella sua apparente semplicità, a mio avviso è un piccolo capolavoro:
E' tratta da "Paperina di Rivondosa", testi e disegni di Silvia Ziche. Questa storia, dopo essere stata serializzata su Topolino, è uscita da qualche anno anche in volume; ogni tanto me la rileggo perché la trovo sempre fresca e comicamente appassionante.
In quella vignetta, tanto per dire, succedono sette cose insieme:
- La contessa Agnese esclama "Paperina!"
- La contessa Agnese allunga il piede in avanti
- Paperino inciampa nel piede della Contessa Agnese generando il suono "pic"
- Paperino compie la traiettoria semicircolare rappresentata dalla doppia linea cinetica
- Paperino impatta col terreno generando il suono "crash"
- Paperina si gira di scatto
- Paperina chiede "Sì, signora?"
O meglio, è evidente che quelle sette cose non succedono proprio insieme, ma Silvia Ziche le piazza tutte in una sola vignetta: il disegno in quanto tale non può che limitarsi a rappresentare un singolo istante (in cui l'azione più evidente è lo schianto a terra di Paperino), eppure la ricchezza degli elementi (personaggi, battute, onomatopee) e il senso di lettura conducono occhio e cervello del lettore ad assimilare il tutto come se si trattasse di una veloce sequenza di azioni, con elementi che precedono lo schianto di Paperino ed altri che lo seguono.
Un piccolo gioiello, contenuto in un già di per sé prezioso scrigno.
sabato, gennaio 23, 2010
Nuovi spot per macachi
Ultimamente, di pubblicità insulse (o che veicolano messaggi triiiiisti) ne ho viste diverse, ma tre meritano i primi gradini del podio.
Su due di queste ho già letto in giro commenti più efficaci di quelli che potrei scrivere io, quindi ad essi vi rimando: sul blog Dis.amb.ig.uando per la pubblicità del cappuccino, e sul blog Bambocciona fuori sede per la pubblicità delle cotolette panate (non cito apertamente le marche reclamizzate per evitare loro ulteriore pubblicità gratuita).
A me non resta che citare lo spot in cui lui torna a casa con tosse e raffreddore, ridotto 'na pecetta, e giustamente preoccupato perché il giorno dopo arrivano degli amici in visita; e lei gli dice "Tranquillo, ci penso io" (o forse "tranquillo, ci sono qui io"... non ricordo di preciso).
Uno si chiede: cosa farà lei di tanto significativo?
...chiamerà gli amici per dire di rimandare la visita?
...preparerà un miracoloso decotto di erbe?
...reciterà una preghiera vudù per ingraziarsi gli dèi dell'influenza?
No.
Gli dà un'aspirina.
Ma 'sto pirla c'ha bisogno della moglie per sapere che in caso di influenza esiste l'opzione "provo a cavarmela con un'aspirina"?!? E lei deve tirare fuori quell'aria materna "ci penso io", per poi uscirsene con tale inedita genialata?!?
Non so lo spettatore medio, ma a me 'sta pubblicità fa sorgere il dubbio che l'aspirina sia una medicina rigorosamente riservata ai deficienti, vedi un po'.
Su due di queste ho già letto in giro commenti più efficaci di quelli che potrei scrivere io, quindi ad essi vi rimando: sul blog Dis.amb.ig.uando per la pubblicità del cappuccino, e sul blog Bambocciona fuori sede per la pubblicità delle cotolette panate (non cito apertamente le marche reclamizzate per evitare loro ulteriore pubblicità gratuita).
A me non resta che citare lo spot in cui lui torna a casa con tosse e raffreddore, ridotto 'na pecetta, e giustamente preoccupato perché il giorno dopo arrivano degli amici in visita; e lei gli dice "Tranquillo, ci penso io" (o forse "tranquillo, ci sono qui io"... non ricordo di preciso).
Uno si chiede: cosa farà lei di tanto significativo?
...chiamerà gli amici per dire di rimandare la visita?
...preparerà un miracoloso decotto di erbe?
...reciterà una preghiera vudù per ingraziarsi gli dèi dell'influenza?
No.
Gli dà un'aspirina.
Ma 'sto pirla c'ha bisogno della moglie per sapere che in caso di influenza esiste l'opzione "provo a cavarmela con un'aspirina"?!? E lei deve tirare fuori quell'aria materna "ci penso io", per poi uscirsene con tale inedita genialata?!?
Non so lo spettatore medio, ma a me 'sta pubblicità fa sorgere il dubbio che l'aspirina sia una medicina rigorosamente riservata ai deficienti, vedi un po'.
venerdì, gennaio 22, 2010
Un piccolo aiuto per l'ADEV
ADEV sta per "Associazione Diritti degli Esseri Viventi" ed è in pratica un'associazione di privati cittadini volontari, situata nel Salento (sud della Puglia) che amano i cani e cercano di trovare casa ai cuccioli abbandonati. Si tratta di un'associazione senza fini di lucro; non è un canile, non ha uffici, non è un'azienda di servizi pubblici, non è associata a nessun canile in particolare e non si occupa di trovare una casa a cani adulti o cuccioli di proprietà di privati cittadini.
Insomma, è "semplicemente" un insieme di persone che si danno da fare per aiutare dei cuccioli randagi e per qusto motivo (oltre che per essermi stata segnalato dalla fumettista - illustratrice - colorista Ketty Formaggio, che conosco da diversi anni) mi ispira fiducia e simpatia.
Di recente, grazie alle tante segnalazioni su Facebook, ho visto quanti cani e gatti, di ogni età, si trovano in situazioni difficili e alla costante ricerca di una famiglia. Al momento non mi è possibile intervenire in prima persona (con la bambina ancora molto piccola e due gatte in casa, inserire un cane proprio adesso sarebbe difficile), ma in futuro conto di fare la mia parte. Per adesso sono contenta di aver fatto una donazione "natalizia" in favore di una cagnolina la cui storia mi aveva molto colpita (era stata praticamente scuoiata viva da non so quale demente rincoglionito di essere umano - vabbè, "umano" si fa per dire) e che aveva bisogno di cure mediche costanti e di qualità. La cagnetta è stata per un po' in clinica a Bari e adesso sta per traslocare nel Nord Italia dove verrà sottoposta a una sorta di "rieducazione comportamentale" (con tutto quel che ha passato, nutre una giustificatissima diffidenza nei confronti delle persone) prima di essere data in adozione. Nonostante io in questa storia sia potuta intervenire solo "da lontano", mi sento coinvolta come se la cagnetta l'avessi sempre conosciuta e questo contributo che ho dato è davvero un grande motivo di orgoglio.
Insomma tutto questo per dire che queste creaturine un po' di aiuto lo meritano, e quindi anche l'ADEV ha bisogno di sostegno. Basta anche solo far girare il più possibile gli annunci per le adozioni e sostenere la circolazione di informazioni, aggiungendo il link al blog dell'ADEV nel proprio sito internet o supportando il blog dell'ADEV aggiungendosi ai sostenitori o iscrivendosi ai feed rss. Ogni link, se ne farete richiesta, sarà ricambiato.
P.S. La colonna sonora, tratta dal musical del Re Leone, mi sembrava adatta a questo post, ma non chiedetemi perché, non saprei spiegarlo.
giovedì, gennaio 21, 2010
"Non è stato un pic-nic" e tanto altro...
Lo confesso, quando il mio amico Egisto si è buttato nell'editoria a fumetti aprendo la piccola casa editrice Dada Editore, ho fortemente temuto per la sua salute: economica e mentale, come ben possono immaginare quelli che di piccola editoria a fumetti un po' si intendono.
Dada Editore ha cominciato la sua avventura nel 2006 con le pubblicazioni legate alla prima edizione della manifestazione Casacomìx, a cui anche io avevo collaborato, e ha poi proseguito con la ristampa dell'opera omnia del grande Roberto Bonadimani e con i tre volumi di Steam Rail by Paolo Zaniboni. Tutti volumi gradevoli, ben fatti, molto ben curati. Ma il colpaccio, secondo me, è arrivato con le ultime produzioni, uscite in occasione della manifestazione Moncalieri Comics.
Intanto c'è il catalogo della manifestazione, che è un bel volumetto con contributi di vari esperti tra i quali il mio maestro Daniele Barbieri e il mio... mi piacerebbe dire "allievo" ma sarebbe un po' pretenzioso, quindi diciamo il mio "successore come caporedattore di Fumo di China", ovvero Andrea Antonazzo. Insomma mi fa sempre piacere vedere questi due nomi stampati sui volumi di saggistica.
Poi ci sono due storie di Diabolik: una la ristampa dell'unica storia del Re del Terrore scritta e disegnata nel 1986 da Cinzia Leone, l'altra un breve prequel, sceneggiato da Tito Faraci e disegnato da Giuseppe Palumbo, che si inserisce a pieno titolo nella continuity del personaggio (peccato che quest'ultimo albetto non sia in vendita, maledizione e stramaledizione, era distribuito unicamente come omaggio ai visitatori di Moncalieri Comics, evabbè).
Infine il pezzo forte, a cui faccio una smaccata pubblicità prima ancora di averlo finito: il volume Non è stato un pic-nic!, scritto e disegnato da Stefano Babini, fumettista e pittore ravennate che conosco - seppur superficialmente - da una decina d'anni e che con questo volume ha tirato fuori una specie di autobiografia che però è anche un romanzo che però è anche un fumetto ma in certi casi è una raccolta di illustrazioni... insomma un prodotto originalissimo, scorrevole, appassionante, ben scritto, ben disegnato (non a caso Stefano è stato allievo di Hugo Pratt), e pure ben stampato, visto che Egisto su questo volume ha scommesso tutto quello che poteva e lo ha confezionato nel migliore dei modi possibili: carta robusta, rilegatura a prova di bomba, cartonato con sovraccoperta... 'na sciccherìa.
Segnalo, tra l'altro, che il libro verrà presentato questo sabato nonché il 23 gennaio presso la Libreria "Alessandro Distribuzioni" (via Borgo San Pietro 138/140, Bologna, ore 17.00), ed è già stato presentato al "Caffè Letterario" di Lugo lo scorso 13 gennaio, con grande entusiasmo di Stefano, di Egisto e di tutti i presenti, come si può leggere qui e qui... ma guarda un po': coi capelli corti, Stefano sembra quasi una persona seria. ^___^
Insomma, io non so se Egisto, dandosi all'editoria a fumetti, abbia perduto la salute, economica e mentale; ma, nel caso, stavolta mi sa che ne valeva la pena sul serio.
Dada Editore ha cominciato la sua avventura nel 2006 con le pubblicazioni legate alla prima edizione della manifestazione Casacomìx, a cui anche io avevo collaborato, e ha poi proseguito con la ristampa dell'opera omnia del grande Roberto Bonadimani e con i tre volumi di Steam Rail by Paolo Zaniboni. Tutti volumi gradevoli, ben fatti, molto ben curati. Ma il colpaccio, secondo me, è arrivato con le ultime produzioni, uscite in occasione della manifestazione Moncalieri Comics.
Intanto c'è il catalogo della manifestazione, che è un bel volumetto con contributi di vari esperti tra i quali il mio maestro Daniele Barbieri e il mio... mi piacerebbe dire "allievo" ma sarebbe un po' pretenzioso, quindi diciamo il mio "successore come caporedattore di Fumo di China", ovvero Andrea Antonazzo. Insomma mi fa sempre piacere vedere questi due nomi stampati sui volumi di saggistica.
Poi ci sono due storie di Diabolik: una la ristampa dell'unica storia del Re del Terrore scritta e disegnata nel 1986 da Cinzia Leone, l'altra un breve prequel, sceneggiato da Tito Faraci e disegnato da Giuseppe Palumbo, che si inserisce a pieno titolo nella continuity del personaggio (peccato che quest'ultimo albetto non sia in vendita, maledizione e stramaledizione, era distribuito unicamente come omaggio ai visitatori di Moncalieri Comics, evabbè).
Infine il pezzo forte, a cui faccio una smaccata pubblicità prima ancora di averlo finito: il volume Non è stato un pic-nic!, scritto e disegnato da Stefano Babini, fumettista e pittore ravennate che conosco - seppur superficialmente - da una decina d'anni e che con questo volume ha tirato fuori una specie di autobiografia che però è anche un romanzo che però è anche un fumetto ma in certi casi è una raccolta di illustrazioni... insomma un prodotto originalissimo, scorrevole, appassionante, ben scritto, ben disegnato (non a caso Stefano è stato allievo di Hugo Pratt), e pure ben stampato, visto che Egisto su questo volume ha scommesso tutto quello che poteva e lo ha confezionato nel migliore dei modi possibili: carta robusta, rilegatura a prova di bomba, cartonato con sovraccoperta... 'na sciccherìa.
Segnalo, tra l'altro, che il libro verrà presentato questo sabato nonché il 23 gennaio presso la Libreria "Alessandro Distribuzioni" (via Borgo San Pietro 138/140, Bologna, ore 17.00), ed è già stato presentato al "Caffè Letterario" di Lugo lo scorso 13 gennaio, con grande entusiasmo di Stefano, di Egisto e di tutti i presenti, come si può leggere qui e qui... ma guarda un po': coi capelli corti, Stefano sembra quasi una persona seria. ^___^
Insomma, io non so se Egisto, dandosi all'editoria a fumetti, abbia perduto la salute, economica e mentale; ma, nel caso, stavolta mi sa che ne valeva la pena sul serio.
lunedì, gennaio 18, 2010
Confezione e identità
Sto raccogliendo le idee per un articolo che devo scrivere in settimana. Riguarda il rapporto fra la confezione editoriale di un'opera (graphic novel ma non solo) e l'identità dell'opera stessa, il modo in cui viene considerata / percepita / assimilata dal lettore.
Watchmen è ormai considerato da tutti un graphic novel e viene sempre pubblicato in volume, ma nacque come miniserie (o "maxiserie"? anche qui la terminologia è cambiata nel corso degli anni...) mensile in 12 numeri.
Maus è il graphic novel per eccellenza, però di incarnazioni ne ha avute diverse: a puntate su riviste, poi a fascicoli, poi la seconda parte direttamente in volume, poi le edizioni più recenti che raccolgono tutto in un volume solo...
Il Dark Knight; anche lui è spesso definito graphic novel, ma all'inizio era una "semplice" miniserie in 4 numeri.
Insomma... in che misura è la confezione, a fare il graphic novel?
Sono graditi pareri e opinioni, via blog o facebook o mail o quel che preferite.
Watchmen è ormai considerato da tutti un graphic novel e viene sempre pubblicato in volume, ma nacque come miniserie (o "maxiserie"? anche qui la terminologia è cambiata nel corso degli anni...) mensile in 12 numeri.
Maus è il graphic novel per eccellenza, però di incarnazioni ne ha avute diverse: a puntate su riviste, poi a fascicoli, poi la seconda parte direttamente in volume, poi le edizioni più recenti che raccolgono tutto in un volume solo...
Il Dark Knight; anche lui è spesso definito graphic novel, ma all'inizio era una "semplice" miniserie in 4 numeri.
Insomma... in che misura è la confezione, a fare il graphic novel?
Sono graditi pareri e opinioni, via blog o facebook o mail o quel che preferite.
venerdì, gennaio 15, 2010
Scusate ma... niente eterna giovinezza per John Barrowman?
E' un'ingiustizia che l'uomo più bello del mondo (un tempo) sia costretto invecchiare come tutti gli altri.
Vabbè, è un'ingiustizia anche che sia gay, ma almeno guardarlo in estasi speravo fosse un'esperienza destinata a poter essere ripetuta in eterno. Mi accontento di riguardare periodicamente il DVD di "Putting It Together" e di scoprire clippine come questa su YouTube, visto che oltretutto ascoltare "Sunset Boulevard" una volta ogni tanto fa sempre bene. :-)
Vabbè, è un'ingiustizia anche che sia gay, ma almeno guardarlo in estasi speravo fosse un'esperienza destinata a poter essere ripetuta in eterno. Mi accontento di riguardare periodicamente il DVD di "Putting It Together" e di scoprire clippine come questa su YouTube, visto che oltretutto ascoltare "Sunset Boulevard" una volta ogni tanto fa sempre bene. :-)
giovedì, gennaio 14, 2010
I sogni son desideri...
Perché quando vedo queste cose mi viene un irrefrenabile desiderio di collezionarle tutte?
I DVD dei film d'animazione Marvel se non altro sono disponibili anche per la Zona 2 (ho preso il primo degli Avengers e non è affatto male!), invece quelli della DC temo solo per Zona 1... non è un problema insormontabile ma è un po' una scocciatura.
Va bè, comunque, chi un giorno volesse farmi un regalo sa dove andare a parare! :-)
I DVD dei film d'animazione Marvel se non altro sono disponibili anche per la Zona 2 (ho preso il primo degli Avengers e non è affatto male!), invece quelli della DC temo solo per Zona 1... non è un problema insormontabile ma è un po' una scocciatura.
Va bè, comunque, chi un giorno volesse farmi un regalo sa dove andare a parare! :-)
mercoledì, gennaio 13, 2010
Bye bye, Spidey-Tobey
Iron Man 2 è in dirittura d'arrivo, di Thor hanno iniziato le riprese, Captain America è in pre-produzione... insomma sembra che a farla da padrone nel prossimo futuro saranno i personaggi che fanno parte del cosmo degli Avengers (EVVAI!). Però, altre produzioni nel frattempo venivano pianificate, perché giustamente queste sono cose che si fanno con secoli di anticipo, e se vuoi uno Spider-Man nuovo che sia pronto da qui a due-tre anni, è già ora di darsi da fare.
Ma lo Spider-Man nuovo che arriverà (pare) nel 2012 non sarà l'atteso Spider-Man 4; divergenze artistiche con la Sony hanno indotto Sam Raimi a mollare tutto, e Tobey Maguire lo ha seguito. Di conseguenza, nemmeno il resto del cast è più della partita (a scrivere la sceneggiatura del nuovo film è James Vanderbilt, ovviamente non si conoscono ancora i nomi del nuovo regista e dei nuovi interpreti), e si ricomincia tutto da capo. Non solo nel senso che cambiano cast & crew, ma proprio che si abbandona la storyline del personaggio fin dov'era arrivata e si procede - pare, si dice, si mormora - a un reboot: sarebbe a dire... di nuovo le origini, di nuovo lo zio Ben, di nuovo Peter Parker liceale sfigato? ARGH!
Non è che i reboot siano la fine del mondo: anche Batman ha avuto il suo, giacché una cosa sono i due film di Tim Burton seguiti (sigh) dai due di Joel Schumacher, e altra cosa sono i due film diretti da Christopher Nolan. Ciascuno dei due registi ha narrato le origini di Batman (Burton nel 1989, Nolan nel 2005) e non è morto nessuno. Ma tra le due narrazioni ci sono sedici anni, mica pizza e fichi. Abbastanza tempo per lasciar decantare personaggio e storia, per far sì che i registi si dedicassero a tutt'altro e per lasciare che gli interpreti invecchiassero e non venissero più accomunati a quei film. (vero che Batman & Robin di Schumacher era del 1997, ma sia quel film sia il precedente non avevano avuto chissà quale successo e non erano considerati un parametro di riferimento: il vero Batman era quello di Burton, ed era con quello che doveva fare i conti il reboot di Nolan.)
In fondo avviene un reboot anche ogni volta che esce un nuovo film su Robin Hood; sta per uscirne uno a breve con Russel Crowe ma non per questo si va necessariamente col pensiero alle versioni con Kevin Costner o con Errol Flynn. Però si tratta di film "singoli", non di "saghe a puntate" che hanno costruito un immaginario ancora prepotentemente depositato nelle menti degli spettatori (tutti, non solo i nerd). E si tratta di film tra i quali - ci risiamo - passa un lasso di tempo ragionevole a permettere che il reboot avvenga, prima che sulla pellicola, nella mente del pubblico.
E' passato un lasso di tempo ragionevole, tra l'ultimo Spider-Man di Raimi (2007) e questo nuovo Spider-Man previsto per il 2012? Uhm. Cinque anni. Secondo me, pochini. Magari la Sony tirerà fuori dal cilindro un regista bravissimo e un cast strepitoso, ma per ora, così come hanno messo le cose, non mi sento molto fiduciosa. Se penso a come andò a finire quando cambiarono il regista degli X-Men...
Peraltro, non non nutrivo grande fiducia nemmeno nell'universo Ultimate, quando lo lanciarono, e invece guarda poi com'è andato bene... posso sempre sperare.
Ma lo Spider-Man nuovo che arriverà (pare) nel 2012 non sarà l'atteso Spider-Man 4; divergenze artistiche con la Sony hanno indotto Sam Raimi a mollare tutto, e Tobey Maguire lo ha seguito. Di conseguenza, nemmeno il resto del cast è più della partita (a scrivere la sceneggiatura del nuovo film è James Vanderbilt, ovviamente non si conoscono ancora i nomi del nuovo regista e dei nuovi interpreti), e si ricomincia tutto da capo. Non solo nel senso che cambiano cast & crew, ma proprio che si abbandona la storyline del personaggio fin dov'era arrivata e si procede - pare, si dice, si mormora - a un reboot: sarebbe a dire... di nuovo le origini, di nuovo lo zio Ben, di nuovo Peter Parker liceale sfigato? ARGH!
Non è che i reboot siano la fine del mondo: anche Batman ha avuto il suo, giacché una cosa sono i due film di Tim Burton seguiti (sigh) dai due di Joel Schumacher, e altra cosa sono i due film diretti da Christopher Nolan. Ciascuno dei due registi ha narrato le origini di Batman (Burton nel 1989, Nolan nel 2005) e non è morto nessuno. Ma tra le due narrazioni ci sono sedici anni, mica pizza e fichi. Abbastanza tempo per lasciar decantare personaggio e storia, per far sì che i registi si dedicassero a tutt'altro e per lasciare che gli interpreti invecchiassero e non venissero più accomunati a quei film. (vero che Batman & Robin di Schumacher era del 1997, ma sia quel film sia il precedente non avevano avuto chissà quale successo e non erano considerati un parametro di riferimento: il vero Batman era quello di Burton, ed era con quello che doveva fare i conti il reboot di Nolan.)
In fondo avviene un reboot anche ogni volta che esce un nuovo film su Robin Hood; sta per uscirne uno a breve con Russel Crowe ma non per questo si va necessariamente col pensiero alle versioni con Kevin Costner o con Errol Flynn. Però si tratta di film "singoli", non di "saghe a puntate" che hanno costruito un immaginario ancora prepotentemente depositato nelle menti degli spettatori (tutti, non solo i nerd). E si tratta di film tra i quali - ci risiamo - passa un lasso di tempo ragionevole a permettere che il reboot avvenga, prima che sulla pellicola, nella mente del pubblico.
E' passato un lasso di tempo ragionevole, tra l'ultimo Spider-Man di Raimi (2007) e questo nuovo Spider-Man previsto per il 2012? Uhm. Cinque anni. Secondo me, pochini. Magari la Sony tirerà fuori dal cilindro un regista bravissimo e un cast strepitoso, ma per ora, così come hanno messo le cose, non mi sento molto fiduciosa. Se penso a come andò a finire quando cambiarono il regista degli X-Men...
Peraltro, non non nutrivo grande fiducia nemmeno nell'universo Ultimate, quando lo lanciarono, e invece guarda poi com'è andato bene... posso sempre sperare.
martedì, gennaio 12, 2010
Sembra quasi di giocare al Piccolo Chimico...
venerdì, gennaio 08, 2010
Come farsi ammazzare in ospedale
Va bè, il destino si accanisce su di me e mi invita, mediante coincidenze e segni vari, a raccontare questa cosa. E io la racconto. Tema generale: malasanità, argomento di cui proprio in questi giorni parlano tanto i mass-media, sostenendo in linea di massima la tesi che la sanità italiana non è cattiva ma esistono poche mele marce che ovviamente andrebbero eliminate.
Io su questa tesi ho molti dubbi, se non altro perché in ogni occasione in cui mi è capitato di avere a che fare con gli ospedali negli ultimi due anni, ci fosse stata una volta in cui le cose sono filate lisce. L'ultima riguarda un parente di mio marito, un signore sulla cinquantina che, per rispetto della privacy, chiamerò con il nome fittizio di Pasquale.
Allora, succede che, tre o quattro settimane fa, Pasquale ha un incidente catastrofico cadendo col motorino, investito da un ragazzo che viaggiava anch'esso in motorino. Pasquale cade, si rugola per terra, si fa un sacco di abrasioni e si frattura pure qualche osso (e meno male che aveva il casco). Quando riceve i primi soccorsi, visto che è tutto uno scortico, gli somministrano della penicillina... e lui comincia a sentirsi mancare il fiato e a dare gran brutti segni. Insomma scoprono che Pasquale è gravemente allergico alla penicillina, e poco ci manca che lo spediscano all'altro mondo.
In qualche modo lo recuperano, dopodiché ovviamente lo ricoverano in ospedale, lo bendano, lo ingessano, ecc. Gli fanno anche una serie di esami e lastre varie, per verificare se ci sono lesioni interne. Di lesioni interne non ne trovano, ma grazie a quelle lastre scoprono che ha un aneurisma all'aorta (ormai così gonfia che rischia di scoppiare) e una valvola cardiaca malfunzionante; roba che stava rischiando la pelle senza saperlo.
Ringraziando a questo punto l'incidente che ha permesso di scoprire il pericolo, lo portano in non so quale ospedale di Bologna dove viene operato: gli sistemano l'aorta e inseriscono una sorta di valvola artificiale che fa le veci di quella "malata".
Lo riportano a Rimini, ma la convalescenza non va come previsto e Pasquale, di giorno in giorno, non migliora. Viene fuori che certi valori non sono quelli che dovrebbero, sicché c'è addirittura l'ipotesi che la valvola artificiale non funzioni a dovere e che si debba tornare a Bologna e rifare tutto da capo. Ovviamente, prima di procedere con una cosa tanto invasiva e impegnativa, predispongono una batteria di esami più approfonditi, uno dei quali necessita di lunghi preparativi, tra cui stare a digiuno tre giorni.
Insomma Pasquale fa i suoi tre giorni di digiuno, si fa somministrare farmaci e flebo di ogni tipo, e finalmente arriva il giorno del super-esame. Un'infermiera si presenta nella stanza di buon ora e procede con una serie di preparativi. Avete presente, no? "Beva questo", "inghiotta quest'altro", "adesso stia fermo che le attacco la flebo", ecc ecc. A un certo punto, Pasquale inizia a sentirsi male, gli manca l'aria, respira a fatica. La moglie chiede: "Scusi, ma cos'è quella roba che gli ha dato poco fa?" E l'infermiera risponde, serafica: "Penicillina".
Morale della storia: la moglie quasi ammazza l'infermiera, Pasquale quasi ci rimette le penne; il super-esame va chiaramente a monte (tre giorni di digiuno e schifezze varie buttati alle ortiche), lo portano di corsa in rianimazione, gli salvano la pelle per il rotto della cuffia, e adesso è da tre giorni in terapia intensiva.
Naturalmente, la famiglia di Pasquale è concentrata sul fatto che lui sta male e che da questa odissea non si riesce a venire fuori, quindi mettersi a fare denunce o cercare responsabili non è una loro priorità, sono tutti in ben altre faccende affaccendati. Passando dal particolare al generale, la mia idea è che il personale medico responsabile di errori marchiani come questo se la cavi più spesso di quanto non si venga a sapere, perché quando sei lì dentro tutto quello che vuoi è uscire e riprendere a farti la tua vita (anche se ovviamente non ti dimenticherai mai i casini che ti hanno combinato) e quindi alla fine, sebbene con dubbi e rimpianti, finisci per passarci sopra e lasciar stare.
Nel caso di Pasquale e della penicillina, peraltro, non credo che ci vorrebbe una laurea per individuare chi è il cretino che deve assumersi la responsabilità dell'erroruccio che poteva costare la pelle a Pasquale. O è l'infermiera che ha somministrato la penicillina (se nel protocollo dell'ospedale è previsto che sia l'infermiera a controllare che il paziente non sia allergico); o è il medico che ha predisposto la somministrazione della penicillina (se il controllo della cartella medica toccava a lui); o sono quelli che hanno soccorso Pasquale dopo l'incidente e non hanno scritto nella sua cartella medica che è allergico alla penicillina e che già ha rischiato grosso. Non è che si debba andare a cercare tanto lontano, o mi sbaglio?
Altri miei amici e conoscenti hanno recentemente avuto brutte esperienze, magari non drammatiche come queste (a volte sì!) ma comunque significative. Anche i miei giorni nel reparto di ostetricia, quando è nata la mia bambina, sono stati puntellati da una serie di inefficienze e idiozie che uno si chiede se certi dottori e infermieri li scelgano a sorte fra dei coltivatori di patate guatemaltechi. E se nel giro di un paio d'anni io sono venuta a conoscenza di sei o sette esempi di malasanità grave (non gravissima, non provocante la morte di nessuno, ma comunque grave), vuol dire che qui non ci sono "poche mele marce", c'è tutto un frutteto che è andato a puttane.
Concludo con un invito, alle mie conoscenti che hanno attraversato la loro parte di brutte esperienze (vuoi sulla loro pelle, vuoi su quella di amici o parenti), di scrivere come è andata, e se non hanno un blog possono approfittare del mio. In fondo è un modo per raccogliere un po' di testimonianze che diano l'idea della quantità di casi che possono verificarsi. Il tribunale dei diritti del malato raccoglie moltissime segnalazioni, ma io resto convinta che sia una percentuale non elevata, rispetto alla totalità dei casi. Capisco che manchi la voglia di impelagarsi in cause e denunce (io stessa non ho avuto nessuna voglia di mettere alle corde quella rintronata di ostetrica che ho avuto la disgrazia di incontrare: volevo solo andare a casa, riprendermi dal cesareo e godermi la mia bambina), ma almeno un contributo a identificare la dimensione del fenomeno possiamo darla. Se vi va...
Io su questa tesi ho molti dubbi, se non altro perché in ogni occasione in cui mi è capitato di avere a che fare con gli ospedali negli ultimi due anni, ci fosse stata una volta in cui le cose sono filate lisce. L'ultima riguarda un parente di mio marito, un signore sulla cinquantina che, per rispetto della privacy, chiamerò con il nome fittizio di Pasquale.
Allora, succede che, tre o quattro settimane fa, Pasquale ha un incidente catastrofico cadendo col motorino, investito da un ragazzo che viaggiava anch'esso in motorino. Pasquale cade, si rugola per terra, si fa un sacco di abrasioni e si frattura pure qualche osso (e meno male che aveva il casco). Quando riceve i primi soccorsi, visto che è tutto uno scortico, gli somministrano della penicillina... e lui comincia a sentirsi mancare il fiato e a dare gran brutti segni. Insomma scoprono che Pasquale è gravemente allergico alla penicillina, e poco ci manca che lo spediscano all'altro mondo.
In qualche modo lo recuperano, dopodiché ovviamente lo ricoverano in ospedale, lo bendano, lo ingessano, ecc. Gli fanno anche una serie di esami e lastre varie, per verificare se ci sono lesioni interne. Di lesioni interne non ne trovano, ma grazie a quelle lastre scoprono che ha un aneurisma all'aorta (ormai così gonfia che rischia di scoppiare) e una valvola cardiaca malfunzionante; roba che stava rischiando la pelle senza saperlo.
Ringraziando a questo punto l'incidente che ha permesso di scoprire il pericolo, lo portano in non so quale ospedale di Bologna dove viene operato: gli sistemano l'aorta e inseriscono una sorta di valvola artificiale che fa le veci di quella "malata".
Lo riportano a Rimini, ma la convalescenza non va come previsto e Pasquale, di giorno in giorno, non migliora. Viene fuori che certi valori non sono quelli che dovrebbero, sicché c'è addirittura l'ipotesi che la valvola artificiale non funzioni a dovere e che si debba tornare a Bologna e rifare tutto da capo. Ovviamente, prima di procedere con una cosa tanto invasiva e impegnativa, predispongono una batteria di esami più approfonditi, uno dei quali necessita di lunghi preparativi, tra cui stare a digiuno tre giorni.
Insomma Pasquale fa i suoi tre giorni di digiuno, si fa somministrare farmaci e flebo di ogni tipo, e finalmente arriva il giorno del super-esame. Un'infermiera si presenta nella stanza di buon ora e procede con una serie di preparativi. Avete presente, no? "Beva questo", "inghiotta quest'altro", "adesso stia fermo che le attacco la flebo", ecc ecc. A un certo punto, Pasquale inizia a sentirsi male, gli manca l'aria, respira a fatica. La moglie chiede: "Scusi, ma cos'è quella roba che gli ha dato poco fa?" E l'infermiera risponde, serafica: "Penicillina".
Morale della storia: la moglie quasi ammazza l'infermiera, Pasquale quasi ci rimette le penne; il super-esame va chiaramente a monte (tre giorni di digiuno e schifezze varie buttati alle ortiche), lo portano di corsa in rianimazione, gli salvano la pelle per il rotto della cuffia, e adesso è da tre giorni in terapia intensiva.
Naturalmente, la famiglia di Pasquale è concentrata sul fatto che lui sta male e che da questa odissea non si riesce a venire fuori, quindi mettersi a fare denunce o cercare responsabili non è una loro priorità, sono tutti in ben altre faccende affaccendati. Passando dal particolare al generale, la mia idea è che il personale medico responsabile di errori marchiani come questo se la cavi più spesso di quanto non si venga a sapere, perché quando sei lì dentro tutto quello che vuoi è uscire e riprendere a farti la tua vita (anche se ovviamente non ti dimenticherai mai i casini che ti hanno combinato) e quindi alla fine, sebbene con dubbi e rimpianti, finisci per passarci sopra e lasciar stare.
Nel caso di Pasquale e della penicillina, peraltro, non credo che ci vorrebbe una laurea per individuare chi è il cretino che deve assumersi la responsabilità dell'erroruccio che poteva costare la pelle a Pasquale. O è l'infermiera che ha somministrato la penicillina (se nel protocollo dell'ospedale è previsto che sia l'infermiera a controllare che il paziente non sia allergico); o è il medico che ha predisposto la somministrazione della penicillina (se il controllo della cartella medica toccava a lui); o sono quelli che hanno soccorso Pasquale dopo l'incidente e non hanno scritto nella sua cartella medica che è allergico alla penicillina e che già ha rischiato grosso. Non è che si debba andare a cercare tanto lontano, o mi sbaglio?
Altri miei amici e conoscenti hanno recentemente avuto brutte esperienze, magari non drammatiche come queste (a volte sì!) ma comunque significative. Anche i miei giorni nel reparto di ostetricia, quando è nata la mia bambina, sono stati puntellati da una serie di inefficienze e idiozie che uno si chiede se certi dottori e infermieri li scelgano a sorte fra dei coltivatori di patate guatemaltechi. E se nel giro di un paio d'anni io sono venuta a conoscenza di sei o sette esempi di malasanità grave (non gravissima, non provocante la morte di nessuno, ma comunque grave), vuol dire che qui non ci sono "poche mele marce", c'è tutto un frutteto che è andato a puttane.
Concludo con un invito, alle mie conoscenti che hanno attraversato la loro parte di brutte esperienze (vuoi sulla loro pelle, vuoi su quella di amici o parenti), di scrivere come è andata, e se non hanno un blog possono approfittare del mio. In fondo è un modo per raccogliere un po' di testimonianze che diano l'idea della quantità di casi che possono verificarsi. Il tribunale dei diritti del malato raccoglie moltissime segnalazioni, ma io resto convinta che sia una percentuale non elevata, rispetto alla totalità dei casi. Capisco che manchi la voglia di impelagarsi in cause e denunce (io stessa non ho avuto nessuna voglia di mettere alle corde quella rintronata di ostetrica che ho avuto la disgrazia di incontrare: volevo solo andare a casa, riprendermi dal cesareo e godermi la mia bambina), ma almeno un contributo a identificare la dimensione del fenomeno possiamo darla. Se vi va...
mercoledì, gennaio 06, 2010
Norvegese, come no...
«Vieni un po' a vedere...»
«Cosa?»
«C'è un documentario sui gatti a pelo lungo, stanno parlando del norvegese...»
«Bello!»
«Sì, ma sai cosa? Da quello che dicono, mi sa che la nostra gattona è proprio una norvegese...»
«Dici? A me sembra più un incrocio random di centomila tipi di gatti a pelo lungo.»
«No, no, ascolta...»
Televisione: "Hanno la peculiarità di questi ciuffetti di pelo nelle orecchie..."
«Vedi?»
«Hmm...»
Televisione: "La loro pelle secerne una sostanza oleosa che si deposita sul pelo e lo rende quasi del tutto impermeabile. Purtroppo questo particolare sebo può anche creare nodi e matasse di pelo..."
«Vedi?»
«Hmm...»
Televisione: "...motivo per cui bisognerebbe spazzolare il norvegese almeno una volta al giorno."
«Ah sicuro... spiegaglielo, alla belva!»
«Però, vedi che sembra proprio il nostro caso?»
Televisione: "Un norvegese in pieno inverno infoltisce il suo pelo in modo da avere una bella criniera folta e anche i proverbiali "calzoncini" di pelo nelle zampe posteriori."
«Vedi?»
«Hmm...»
Televisione: "Un'altra caratteristica dei norvegesi è la forma della zampa, che appare come "palmata", il che li rende in grado di nuotare e di sentirsi in confidenza con l'acqua..."
«Vedi?»
«Hmm...»
Televisione: "Si tratta inoltre di gatti dalla vivace e spiccata intelligenza."
«...»
«...»
«No, vabbè, niente norvegese...»
«Eh, dai, lasciamo stare che è meglio...»
Adesso è inverno sul serio
Due (forse tre) settimane di gelo e neve su mezza Italia, a una persona normale dovrebbero bastare per avere forte la sensazione dell'inverno. A me no. A me servono due cose affinché non solo il cervello, ma anche tutto il resto si sintonizzi sull'idea dell'inverno, del freddo pungente, del brutto tempo, delle giornate corte.
La prima è il profumo del calicantus, questo arbusto semisecco e un po' sgraziato, che sembra sia sempre lì lì per morire, e invece è proprio fatto così, burbero e scontroso. Infatti fiorisce d'inverno, senza nessuna fretta, quando gli sembra il momento giusto, quando riesce a intercettare qualche ora di raro sole invernale. Tutto quello che ha di dolce e amichevole deve averlo messo nel profumo dei suoi fiori, che spandono un aroma delicatissimo in grado di colpirti le narici quando meno te lo aspetti. Passeggi per strata pensando agli affari tuoi e all'improvviso, zot! il profumo del calicantus. Quando abitavo a casa dei miei, e due piante di calicantus le avevamo in giardino, era uso tagliarne qualche ramoscello fiorito e metterlo in salotto: profumava tutto l'ambiente per giorni. A me non sembra inverno finché non sento il profumo del calicantus, e qualche giorno fa l'ho sentito: in modo inaspettato e sorprendente, com'è giusto che sia.
Poi c'è il pettirosso. Per anni e anni da quando ero piccola (diciamo pure qualcosa tipo trent'anni), puntuale ogni inverno, a un certo punto mio padre mi chiamava in cucina e, dalla porta a vetri, mi indicava una macchiolina saltellante nel giardino, dicendomi: "Hai visto? E' tornato il nostro pettirosso!"
Figuriamoci se per trent'anni poteva essere lo stesso pettirosso a tornare fedelmente; eppure, non c'è stato inverno in cui un pettirosso (forse una dinastia: nonno, padre, figlio, nipote...) non sia venuto a mangiare le bricioline di pane di fronte al portico. A me non sembra inverno finché non vedo un pettirosso, e stamattina ne ho visto uno nel cortile di una casa del mio quartiere, becchettare qua e là. Con la stessa saltellitudine del "nostro" pettirosso di campagna, così da farmi fare un bel respiro di aria fredda e, finalmente, davvero invernale.
La prima è il profumo del calicantus, questo arbusto semisecco e un po' sgraziato, che sembra sia sempre lì lì per morire, e invece è proprio fatto così, burbero e scontroso. Infatti fiorisce d'inverno, senza nessuna fretta, quando gli sembra il momento giusto, quando riesce a intercettare qualche ora di raro sole invernale. Tutto quello che ha di dolce e amichevole deve averlo messo nel profumo dei suoi fiori, che spandono un aroma delicatissimo in grado di colpirti le narici quando meno te lo aspetti. Passeggi per strata pensando agli affari tuoi e all'improvviso, zot! il profumo del calicantus. Quando abitavo a casa dei miei, e due piante di calicantus le avevamo in giardino, era uso tagliarne qualche ramoscello fiorito e metterlo in salotto: profumava tutto l'ambiente per giorni. A me non sembra inverno finché non sento il profumo del calicantus, e qualche giorno fa l'ho sentito: in modo inaspettato e sorprendente, com'è giusto che sia.
Poi c'è il pettirosso. Per anni e anni da quando ero piccola (diciamo pure qualcosa tipo trent'anni), puntuale ogni inverno, a un certo punto mio padre mi chiamava in cucina e, dalla porta a vetri, mi indicava una macchiolina saltellante nel giardino, dicendomi: "Hai visto? E' tornato il nostro pettirosso!"
Figuriamoci se per trent'anni poteva essere lo stesso pettirosso a tornare fedelmente; eppure, non c'è stato inverno in cui un pettirosso (forse una dinastia: nonno, padre, figlio, nipote...) non sia venuto a mangiare le bricioline di pane di fronte al portico. A me non sembra inverno finché non vedo un pettirosso, e stamattina ne ho visto uno nel cortile di una casa del mio quartiere, becchettare qua e là. Con la stessa saltellitudine del "nostro" pettirosso di campagna, così da farmi fare un bel respiro di aria fredda e, finalmente, davvero invernale.
lunedì, gennaio 04, 2010
Buffi robottini vaganti
Una delle cose che non so mai dove infilare quando mi trovo in fase di riordini, è Roborally. Lì per lì mi verrebbe da ficcarlo in qualche sportello, incastrato in mezzo ad altre carabattole che uso una volta ogni morte di papa, ma poi non ci riesco mai. Perché Roborally è un gioco talmente simpatico, e ha pure una scatola così bella (cosa per me non trascurabile, e se fossi esterofila quale sono, userei il termine packaging), che mi piace tenerlo in vista.
Il gioco parte immaginando che ci sa una vecchia fabbrica in disuso nella quale si aggirano dei robottini ancora impegnati a seguire la loro programmazione (mi viene in mente Wall-e...), che devono muoversi evitando buche, aggirando ostacoli, passando su tapirulan, sparando agli altri robottini se danno fastidio, e cose del genere. La cosa divertente è che ciascun giocatore, all'inizio di ogni turno, deve decidere in anticipo il percorso che il suo robottino compierà in quel turno, utilizzando una limitata serie di mosse che ha a disposizione. Cosicché, nel momento in cui sul tabellone di gioco si muovono due o più robottini, è inevitabile che prima o poi i percorsi prestabiliti di ciascuno entrino in collisione e modifichino le carte in tavola senza che ci sia più alcuna possibilità di porre rimedio ai disastri incombenti.
L'ultima volta ci abbiamo giocato un paio di mesi fa, da allora sta lì in un angolino a prendere la polvere, ma non dispero. Nel frattempo mi diverto navigando il sito ufficiale di Roborally e in particolare la demo, che è molto ben fatta. Se amate i giochi dove ci vuole un po' di ragionamento ma la malasorte è in agguato dietro ogni angolo, dovete provarlo almeno una volta. Fosse per me, non dovrebbe mancare in nessuna ludoteca!
Il gioco parte immaginando che ci sa una vecchia fabbrica in disuso nella quale si aggirano dei robottini ancora impegnati a seguire la loro programmazione (mi viene in mente Wall-e...), che devono muoversi evitando buche, aggirando ostacoli, passando su tapirulan, sparando agli altri robottini se danno fastidio, e cose del genere. La cosa divertente è che ciascun giocatore, all'inizio di ogni turno, deve decidere in anticipo il percorso che il suo robottino compierà in quel turno, utilizzando una limitata serie di mosse che ha a disposizione. Cosicché, nel momento in cui sul tabellone di gioco si muovono due o più robottini, è inevitabile che prima o poi i percorsi prestabiliti di ciascuno entrino in collisione e modifichino le carte in tavola senza che ci sia più alcuna possibilità di porre rimedio ai disastri incombenti.
L'ultima volta ci abbiamo giocato un paio di mesi fa, da allora sta lì in un angolino a prendere la polvere, ma non dispero. Nel frattempo mi diverto navigando il sito ufficiale di Roborally e in particolare la demo, che è molto ben fatta. Se amate i giochi dove ci vuole un po' di ragionamento ma la malasorte è in agguato dietro ogni angolo, dovete provarlo almeno una volta. Fosse per me, non dovrebbe mancare in nessuna ludoteca!
Dylan Dog: "Mater Morbi"
Non sono una lettrice abituale di Dylan Dog, ne acquisto qualche albo qua e là giusto quando so che è scritto e/o disegnato da qualche sceneggiatore e/o disegnatore che apprezzo in particolar modo. Questo albo, "Mater Morbi" (di Recchioni / Carnevale) lo aspettavo da un bel po' di tempo e mi è molto piaciuto.
Dopo tutta l'incredulità e la rabbia che ho ingoiato al tempo del ricovero e della morte di mio padre (cosa di cui ho scritto qui), e dopo tutto il rancore che ho provato e ancora provo nei riguardi dell'esercito di deficienti in cui mi sono imbattuta nel reparto di ostetricia quando è nata la mia bambina (cosa di cui non ho ancora scritto perché mi viene la bile viola al solo pensiero e finisce sempre che mi passa tutta la voglia), un racconto sul tema della malattia svolge una "funzione esorcismo" niente male. Tanto più se scritta da uno sceneggiatore (Roberto Recchioni) che purtroppo conosce fin troppo bene ciò di cui parla, e disegnato da un artista (Massimo Carnevale) di quelli che probabilmente sfornano capolavori anche quando scarabocchiano i tradizionali ghirigori-passatempo durante le telefonate.
Lo trovate in edicola fino al 26 gennaio (il 27 esce il Dylan successivo), accattativillo perché ne vale la pena.
Dopo tutta l'incredulità e la rabbia che ho ingoiato al tempo del ricovero e della morte di mio padre (cosa di cui ho scritto qui), e dopo tutto il rancore che ho provato e ancora provo nei riguardi dell'esercito di deficienti in cui mi sono imbattuta nel reparto di ostetricia quando è nata la mia bambina (cosa di cui non ho ancora scritto perché mi viene la bile viola al solo pensiero e finisce sempre che mi passa tutta la voglia), un racconto sul tema della malattia svolge una "funzione esorcismo" niente male. Tanto più se scritta da uno sceneggiatore (Roberto Recchioni) che purtroppo conosce fin troppo bene ciò di cui parla, e disegnato da un artista (Massimo Carnevale) di quelli che probabilmente sfornano capolavori anche quando scarabocchiano i tradizionali ghirigori-passatempo durante le telefonate.
Lo trovate in edicola fino al 26 gennaio (il 27 esce il Dylan successivo), accattativillo perché ne vale la pena.
domenica, gennaio 03, 2010
Il viaggio mentale di Wonder Woman
In questi giorni sto facendo ordine tra libri e scaffali, e stamattina mi è venuto in mano il primo volume dell'edizione italiana di Trinity (di Fabian Nicieza e Mark Bagley), una storia che vede protagonisti Superman, Batman e Wonder Woman. Ho già scritto, in una recensione pubblicata su Fumo di China n. 175, che non è stata una lettura avvincente, ma non mi ero ancora mai soffermata su una pagina che ho trovato tristemente significativa. Ve la incollo qui, nella versione in lingua originale:
Capito l'impasse? Se le raccomandano di farsi curare la ferita sembrano troppo apprensivi in virtù del fatto che lei è una donna, e se non glielo raccomandano, sembra che ciò accada perché non vogliono fare la figura degli apprensivi in quanto lei è una donna.
Ma quanto è contorta questa cosa?!?
Se sei una persona che nella vita prende parte a battaglie e a combattimenti, non importa che tu sia uomo o donna, può capitare che ti procuri delle ferite, e in questo caso i tuoi compagni d'arme cosa fanno? Devono raccomandarti di darti una rattoppata, punto e basta! Cosa sono tutte 'ste menate che lo sceneggiatore ha messo in bocca al personaggio di Wonder Woman, che solitamente ha il buon senso di non farsi di 'sti viaggi mentali?
Non sarà che il continuo ed esasperante confronto fra i sessi che nella vita ci ritroviamo dietro ogni angolo di strada (difficoltà e magra retribuzione delle donne sul lavoro, scarsissima partecipazione delle donne alla politica, perdita d'identità degli uomini che percepiscono le donne come troppo aggressive, svalutazione degli uomini da parte delle donne che li percepiscono troppo zerbini o a seconda dei casi troppo maiali, ecc ecc ecc), sta generando poco a poco una specie di costante coda di paglia che conduce a ridicoli casi di sovrainterpretazione come questo?
Che poi, finché troviamo 'ste cose nelle pagine di un'avventura (bruttina) di supereroi, pazienza... ma ormai ne sento delle belle anche in real life. Tra cui un esponente politico che dice, a una mia conoscente che è venuta a trovarmi per le vacanze: "Vorrei affidarti questo certo assessorato, lo so che è un ambito di cui non capisci niente, ma sai com'è, bisogna che ci sia una donna...". Viva le pari opportunità, eh.
Capito l'impasse? Se le raccomandano di farsi curare la ferita sembrano troppo apprensivi in virtù del fatto che lei è una donna, e se non glielo raccomandano, sembra che ciò accada perché non vogliono fare la figura degli apprensivi in quanto lei è una donna.
Ma quanto è contorta questa cosa?!?
Se sei una persona che nella vita prende parte a battaglie e a combattimenti, non importa che tu sia uomo o donna, può capitare che ti procuri delle ferite, e in questo caso i tuoi compagni d'arme cosa fanno? Devono raccomandarti di darti una rattoppata, punto e basta! Cosa sono tutte 'ste menate che lo sceneggiatore ha messo in bocca al personaggio di Wonder Woman, che solitamente ha il buon senso di non farsi di 'sti viaggi mentali?
Non sarà che il continuo ed esasperante confronto fra i sessi che nella vita ci ritroviamo dietro ogni angolo di strada (difficoltà e magra retribuzione delle donne sul lavoro, scarsissima partecipazione delle donne alla politica, perdita d'identità degli uomini che percepiscono le donne come troppo aggressive, svalutazione degli uomini da parte delle donne che li percepiscono troppo zerbini o a seconda dei casi troppo maiali, ecc ecc ecc), sta generando poco a poco una specie di costante coda di paglia che conduce a ridicoli casi di sovrainterpretazione come questo?
Che poi, finché troviamo 'ste cose nelle pagine di un'avventura (bruttina) di supereroi, pazienza... ma ormai ne sento delle belle anche in real life. Tra cui un esponente politico che dice, a una mia conoscente che è venuta a trovarmi per le vacanze: "Vorrei affidarti questo certo assessorato, lo so che è un ambito di cui non capisci niente, ma sai com'è, bisogna che ci sia una donna...". Viva le pari opportunità, eh.
Ma una volta tanto...
...non potrebbe capitarmi di lavorare su una serie di fantascienza dove i personaggi non sembrino usciti da un manicomio? Boh, sarà che tutti hanno una gran voglia di emulare Evangelion, ma potrebbero anche sforzarsi di inventare qualcosa di meglio.
sabato, gennaio 02, 2010
Bat-Coyote contro Spider-Papero...
Bene bene, e così il 31 dicembre, con il voto ufficiale degli azionisti Disney, si è concluso l'affare del secolo: la Disney ha definitivamente acquisito la Marvel Comics. Ai tempi del primo annuncio, qualche mese fa, ne sono state dette di cotte e di crude, soprattutto dagli apocalittici che temono un'ingerenza della Disney nell'ambito strettamente creativo Marvel, all'insegna del buonismo e del bambinismo. Io non ci credo e mi inserisco così nella schiera degli integrati, che vedono questa partnership semplicemente come speculare di quella tra Warner Bros e DC Comics: un'occasione, proprio per i creativi Marvel, di avere sottomano un megacanale distributivo, quello disneyano, già inserito capillarmente in qualsiasi settore dell'entertainment: giochi, videogiochi, gadget, merchandising, home theatre, cinema, tv, carta stampata...
Al massimo mi preoccupo un po' dell'effetto duopolio che due simili colossi possono generare, ma in fondo, anche tornando al solo settore del fumetto, negli USA già c'era un duopolio (Marvel/DC) che non ha impedito ad altri prodotti di emergere, vuoi perché intrinsecamente validi (Cerebus, Strangers in Paradise, Bone...), vuoi perché capaci di cavalcare mode e tendenze (tanti titoli della Top Cow secondo me rientrano in questo discorso). Quindi, anche da questo punto di vista, sono preoccupata fino a un certo punto.
Ovviamente solo il futuro rivelerà se mi sbaglio o se ho ragione.
Al massimo mi preoccupo un po' dell'effetto duopolio che due simili colossi possono generare, ma in fondo, anche tornando al solo settore del fumetto, negli USA già c'era un duopolio (Marvel/DC) che non ha impedito ad altri prodotti di emergere, vuoi perché intrinsecamente validi (Cerebus, Strangers in Paradise, Bone...), vuoi perché capaci di cavalcare mode e tendenze (tanti titoli della Top Cow secondo me rientrano in questo discorso). Quindi, anche da questo punto di vista, sono preoccupata fino a un certo punto.
Ovviamente solo il futuro rivelerà se mi sbaglio o se ho ragione.
venerdì, gennaio 01, 2010
La saga del citofono, parte seconda
Tutti coloro che fossero rimasti con il fiato sospeso dinanzi all'incerta sorte del citofono di questa casa possono rilassarsi: ci siamo quasi.
Infatti, il Ghigo (nella sua tradizionale tenuta da lavoro domestico "pigiama & ciabatte") e le sue due imprescindibili assistenti si sono messi al lavoro per montare il citofono nuovo...
...ma nonostante tutta la buona volontà...
...e nonostante il tradizionale ottimismo...
...il citofono non va.
O meglio: apre cancello e portone, ma non permette la comunicazione fra interno ed esterno, insomma è muto (per carità, sempre meglio che sventrato e penzoloni come l'avevo lasciato io).
Ci siamo rassegnati e a giorni verrà l'elettricista. Vi faremo sapere...
Infatti, il Ghigo (nella sua tradizionale tenuta da lavoro domestico "pigiama & ciabatte") e le sue due imprescindibili assistenti si sono messi al lavoro per montare il citofono nuovo...
...ma nonostante tutta la buona volontà...
...e nonostante il tradizionale ottimismo...
...il citofono non va.
O meglio: apre cancello e portone, ma non permette la comunicazione fra interno ed esterno, insomma è muto (per carità, sempre meglio che sventrato e penzoloni come l'avevo lasciato io).
Ci siamo rassegnati e a giorni verrà l'elettricista. Vi faremo sapere...
Poco musical, ma buono
Il 2009 è stato, per forza di cose, un anno molto domestico. L'ultima vera musical-vacanza me la sono concessa lo scorso dicembre, quando il Ghigo ed io abbiamo fatto uno di quei bei tour de force londinesi in cui nell'arco di 5 giorni riesci a vedere 9 spettacoli. Naturalmente, visto che ero al quinto mese di gravidanza, mi sono anche esibita in un breve svenimento in piena Oxford Street, ma che dire: l'avevamo messo in conto.
Tra parentesi, fra i tanti spettacoli visti c'era pure Piaf, interpretato dall'argentina Elena Rogers (quella del revival londinese di Evita insieme a Philip Quast). Temevo che per i miei gusti fosse uno spettacolo un po' troppo tetro, e invece mi è piaciuto un sacco (oh, poi tetro lo era eccome, intendiamoci). E voilà il trailer:
Dicevamo: nel 2009, quindi, niente viaggi e niente musical (e niente dischi o DVD, perché eravamo palesemente in tutt'altre faccende affaccendati), con due eccezioni: Mamma Mia a Milano in marzo (lo UK Tour passava dal Teatro degli Arcimboldi) e Chicago, sempre UK Tour, stavolta al Teatro Rossetti di Trieste in dicembre.
Come dicevo, erano degli UK Tour. C'erano quindi forti aspettative di professionalità, precisione e talento. Aspettative NON deluse! Entrambi gli spettacoli sono stati godibilissimi e di superqualità, con interpreti uno più bravo dell'altro, alcuni già noti, altri piacevoli scoperte. Chicago poi, si sa, fa parte della mia "top-triade del musical" (Cats, Follies, Chicago), e vedere nuovamente quelle belle coreografie, quei movimenti millimetrici, quella macchina da palcoscenico così splendidamente rodata e tuttavia sempre nuova, è stata un'emozione che mi era mancata parecchio. Ci aggiungo pure la chiacchierosissima compagnia (era una vita che volevo concedermi una giornata a tu per tu con Jaime Sommers e ci sono riuscita) e il piacere di conoscere Stefano Curti, direttore del teatro oltre che gran signore (dopo tutte le peste e corna che avevo detto a mari e monti anni fa, a proposito delle lacune organizzative quando la versione concerto di Elisabeth al Castello d Miramare saltò causa temporalone, tutto mi aspettavo meno che mi offrisse da bere).
Cast: stellare, come si conviene a un UK tour. C'era il rodatissimo Gary Wilmot nel ruolo di Billy (l'avevo già visto a Londra anni fa quando aveva preso il posto di Michael Ball in Chitty Chitty Bang Bang) e una sconosciuta-mai-sentita-prima-ma-incredibilmente-brava Twinnie-Lee More nel ruolo di Velma. Come faccia ad essere così sensazionale a 22 anni, praticamente neodiplomata, lo sa solo lei; sono sicura che calcherà i palcoscenici del West End per un pezzo.
Mi sarebbe tanto piaciuto assistere alla versione italiana di Avenue Q, come pure allo spettacolo degli Oblivion, ma ormai temo che sia troppo tardi. Sto invece resistendo, almeno per ora, alla tentazione di andare a vedere la versione italiana di Cats. La domanda in realtà è una sola; posso proprio io non andare a vedere il Cats italiano, per giunta targato Compagnia della Rancia e quindi presumiblmente curato e professionale? Eh. Non lo so. I pareri di amici con i quali spesso condivido gusti e giudizi, insieme alle clip disponibili in rete, fino ad ora mi stanno rendendo molto recalcitrante. Continua a sembrarmi un pigiama party più che un musical (il mio musical!!!) e fatico all'idea di sopportare quei costumi e quelle maschere per due ore e mezza. Ma probabilmente cederò al desiderio di metterlo comunque "a curriculum".
Va bè, due musical in un anno per me sono un insulto, ma la nascita di una bimba, come dire, ha un tantinello di precedenza. Sono comunque contenta al ricordo di questi Mamma Mia e Chicago... ah che soddisfazione, ah che bravi, ah che professionalità... a proposito, l'avrò mica già detto che erano entrambi UK Tour?!?
Tra parentesi, fra i tanti spettacoli visti c'era pure Piaf, interpretato dall'argentina Elena Rogers (quella del revival londinese di Evita insieme a Philip Quast). Temevo che per i miei gusti fosse uno spettacolo un po' troppo tetro, e invece mi è piaciuto un sacco (oh, poi tetro lo era eccome, intendiamoci). E voilà il trailer:
Dicevamo: nel 2009, quindi, niente viaggi e niente musical (e niente dischi o DVD, perché eravamo palesemente in tutt'altre faccende affaccendati), con due eccezioni: Mamma Mia a Milano in marzo (lo UK Tour passava dal Teatro degli Arcimboldi) e Chicago, sempre UK Tour, stavolta al Teatro Rossetti di Trieste in dicembre.
Come dicevo, erano degli UK Tour. C'erano quindi forti aspettative di professionalità, precisione e talento. Aspettative NON deluse! Entrambi gli spettacoli sono stati godibilissimi e di superqualità, con interpreti uno più bravo dell'altro, alcuni già noti, altri piacevoli scoperte. Chicago poi, si sa, fa parte della mia "top-triade del musical" (Cats, Follies, Chicago), e vedere nuovamente quelle belle coreografie, quei movimenti millimetrici, quella macchina da palcoscenico così splendidamente rodata e tuttavia sempre nuova, è stata un'emozione che mi era mancata parecchio. Ci aggiungo pure la chiacchierosissima compagnia (era una vita che volevo concedermi una giornata a tu per tu con Jaime Sommers e ci sono riuscita) e il piacere di conoscere Stefano Curti, direttore del teatro oltre che gran signore (dopo tutte le peste e corna che avevo detto a mari e monti anni fa, a proposito delle lacune organizzative quando la versione concerto di Elisabeth al Castello d Miramare saltò causa temporalone, tutto mi aspettavo meno che mi offrisse da bere).
Cast: stellare, come si conviene a un UK tour. C'era il rodatissimo Gary Wilmot nel ruolo di Billy (l'avevo già visto a Londra anni fa quando aveva preso il posto di Michael Ball in Chitty Chitty Bang Bang) e una sconosciuta-mai-sentita-prima-ma-incredibilmente-brava Twinnie-Lee More nel ruolo di Velma. Come faccia ad essere così sensazionale a 22 anni, praticamente neodiplomata, lo sa solo lei; sono sicura che calcherà i palcoscenici del West End per un pezzo.
Mi sarebbe tanto piaciuto assistere alla versione italiana di Avenue Q, come pure allo spettacolo degli Oblivion, ma ormai temo che sia troppo tardi. Sto invece resistendo, almeno per ora, alla tentazione di andare a vedere la versione italiana di Cats. La domanda in realtà è una sola; posso proprio io non andare a vedere il Cats italiano, per giunta targato Compagnia della Rancia e quindi presumiblmente curato e professionale? Eh. Non lo so. I pareri di amici con i quali spesso condivido gusti e giudizi, insieme alle clip disponibili in rete, fino ad ora mi stanno rendendo molto recalcitrante. Continua a sembrarmi un pigiama party più che un musical (il mio musical!!!) e fatico all'idea di sopportare quei costumi e quelle maschere per due ore e mezza. Ma probabilmente cederò al desiderio di metterlo comunque "a curriculum".
Va bè, due musical in un anno per me sono un insulto, ma la nascita di una bimba, come dire, ha un tantinello di precedenza. Sono comunque contenta al ricordo di questi Mamma Mia e Chicago... ah che soddisfazione, ah che bravi, ah che professionalità... a proposito, l'avrò mica già detto che erano entrambi UK Tour?!?
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