martedì, febbraio 28, 2006

Joe Kubert, un mito

E' stato pubblicato in rete un articolo di Joe Kubert e Rafael Medoff riguardo alle famose vignette satiriche che hanno scatenato le proteste dei mussulmani.
Ed io ho deciso che amo Joe Kubert. Non è che le sue idee siano originali o inedite, ma la chiarezza con cui le espone è mirabile, e soprattutto c'è grande rigore sposato con grande serietà. Per la serie: dico le cose educatamente, ma sia chiaro che dico come stanno.

IL POTERE DI UNA VIGNETTA
di Joe Kubert e Rafael Medoff
traduzione di Fausto Colasanti
I Musulmani di tutto il mondo si sentono profondamente offesi dalla rappresentazione del fondatore dell’Islam, Maometto, in vignette satiriche apparse recentemente su un quotidiano danese, e successivamente pubblicate su giornali di altri Paesi europei.
Nel Medio-Oriente ed oltre, folle di dimostranti Musulmani si sono sollevate infuriate. In Libano e in Siria le ambasciate danesi e di altri Paesi europei sono state date alle fiamme. Nei territori palestinesi sono stati esplosi colpi di arma da fuoco contro il Centro Culturale Francese, gli uffici dell’Unione Europea sono stati assediati, ed un cittadino tedesco scambiato per danese è stato rapito per poi essere rilasciato dopo breve tempo.
E la situazione potrebbe peggiorare. A Ramallah dei dimostranti hanno cantato “Bin Laden è il nostro amato, la Danimarca deve essere fatta saltare in aria!”. A Gaza un sacerdote ha auspicato che “cadano delle teste” come risposta alle vignette. A Londra una donna musulmana portava un cartello con scritto “Preparatevi al vero Olocausto”.
Per essere una forma d’arte che a volte viene erroneamente considerata come minore, queste vignette hanno sollevato una reazione mortalmente seria.
La verità sulle vignette di satira politica è che sono una delle più potenti forme di comunicazione. Gli editorialisti possono riempire pagine su pagine di commenti che restano poco notati, ma un’efficace illustrazione trasmette una scossa intellettiva ed emozionale decisamente maggiore delle parole scritte. E questa non è una novità. Le vignette di satira si vedono in giro praticamente da sempre, infastidendo e offendendo i loro bersagli probabilmente sin dalla preistoria. I primi umani che avevano scarsi risultati nella caccia, è facile che tornando a casa trovassero loro stessi presi in giro in disegni sulle pareti delle caverne.
Nel corso della storia, le illustrazioni satiriche hanno spesso avuto un impatto molto più importante di quanto si possa generalmente immaginare. Una vignetta del 1884 che prendeva in giro il candidato repubblicano alle elezioni presidenziali James Blaine, pubblicata nella prima pagina del New York World di Joseph Pulitzer, ebbe un ruolo chiave nello stato di New York per il successo del candidato democratico Grover Cleveland, che gli permise di vincere la contesa per la Casa Bianca. Durante la Prima Guerra Mondiale, il governo statunitense teneva in tale considerazione i vignettisti da fondare l’Ufficio dei Cartoons, per coinvolgere gli autori nelle campagne di supporto per gli sforzi bellici. Alla fine dell’800 e nei primi del ‘900, alcuni politici arrabbiati di Pennsylvania, New York, California, Indiana ed Alabama, talmente infastiditi dagli strali dei vignettisti, arrivarono ad introdurre delle leggi che tentavano di regolamentare in maniera restrittiva quello che i vignettisti potevano o non potevano disegnare.
Anche se queste leggi furono inizialmente approvate, vennero successivamente abrogate. Ma come reazione alla controversia sulle vignette danesi, c’è chi chiede nuove restrizioni. Il Vaticano ha affermato che “Il diritto alla libertà d’espressione… non può comprendere il diritto di offendere il sentimento religioso dei credenti”.
La censura sarebbe un errore. Darebbe a qualsiasi gruppo religioso il potere di veto sulle vignette – o sulle parole scritte, o sui discorsi – dei propri oppositori. Sì, i vignettisti possono essere offensivi. E sfortunatamente ci sono occasioni in cui degli artisti cercano coscientemente di essere oltraggiosi, al fine di ottenere attenzione. Si può ricordare quando a New York dei disegnatori rappresentarono dei simboli religiosi cristiani in maniera shockante e offensiva. Ma questo non giustifica le rivolte e la censura. In una società civile, la gente risponde all’arte offensiva senza entrare nel museo che la espone o rifiutandosi di comprare quel particolare giornale che la pubblica.
L’anno scorso un giornale studentesco della Rutgers University, The Medium, pubblicò una vignetta orribilmente offensiva dove veniva rappresentato un Ebreo spaventato seduto su di un palco, di quelli che si vedono al luna park dove si devono abbattere pupazzetti o colpire bersagli con una palla, posizionato sopra ad un forno, con un cartello che esortava i passanti a colpire l’Ebreo e farlo cadere nel forno. La vignetta fu giustamente denunciata come un insulto alla memoria dell’Olocausto. E alcuni critici esortarono l’amministrazione dell’università a sospendere i finanziamenti per il giornale. Ma nessuno ha bruciato il Campus della Rutgers o cercato di decapitare l’editore del The Medium.
I leaders occidentali stanno criticando blandamente la situazione danese, sperando di evitare di gettare benzina sul fuoco della rabbia musulmana. Alcuni dei loro commenti hanno lasciato a desiderare. Il portavoce del Dipartimento di Stato ha affermato che le vignette danesi su Maometto sono disdicevoli come le vignette anti-Giudaiche che spesso appaiono sui quotidiani arabi. Ma sicuramente dovrebbe riconoscere anche che le vignette danesi sono apparse in quotidiani indipendenti, che il governo danese non può controllare. Le caricature antisemite della stampa araba sono in genere pubblicate in quotidiani su cui i governi esercitano un controllo totale, la cui pubblicazione potrebbe essere sospesa in qualsiasi momento, se questi governi volessero.
Cosa più importante, i governanti occidentali dovrebbero dire chiaramente che anche se i Musulmani trovano le vignette offensive, la loro reazione è assolutamente inaccettabile. Il nostro obiettivo dovrebbe essere quello di stabilire delle regole di base per condurre un dibattito civile, senza cercare modi per compiacere o tener buone le folle infuriate. Sicuramente dovremmo tendere a cercare di vivere in un mondo governato dalla ragione e dalla civiltà, piuttosto che in uno dove i vignettisti o i loro editori devono temere per le loro vite.

venerdì, febbraio 24, 2006

Recensione fumetto: Powers

Non è la prima volta che recupero con mesi (o anni) di ritardo dei volumi importanti, e non sarà l'ultima. Ricordo che passò uno sfracello di tempo fra la prima volta che sentii parlare del Devil di Miller, e la prima volta che ne lessi un episodio...
Stavolta è stato il turno di Powers: quattro volumi di Brian Michael Bendis e Michael Avon Oeming, uno più bello dell'altro. Alcune cose ricordano un po' Gotham Central... ambientazione poliziesca, dialoghi tagliati col coltello, personaggi mediocri accanto ad altri eccelsi. E' un modo interessante di guardare ai supereroi, demolendoli uno dopo l'altro (fisicamente e narrativamente), tirandoli giù dall'iperuranio e infilandoli a forza in una realtà superficiale e squalliduccia. Insomma quattro volumi da leggere, assolutamente, anche se i prezzi della Magic Press non incoraggiano. Ma se trovate qualcuno che vende a metà prezzo i volumi, come è capitato a me, non esitate. Dopotutto Brian Michael Bendis è sempre il genio che ha scritto e disegnato quella cosa meravigliosa che è Fortune and Glory (in Italia sempre per Magic Press). Insomma non si può sbagliare.