mercoledì, gennaio 28, 2009

Ben svegliati

Qualche giorno fa, prendo accordi con il committente di un certo lavoro per stabilire la scadenza entro cui devo consegnare la mia parte.
Oggi, il committente chiama per dire che a giorni uno dei suoi collaboratori parte per una tourné di due mesi, e quindi ha bisogno che io anticipi la scadenza in modo che il collaboratore, prima di partire, possa fare uso della mia parte.

Ieri, il funzionario/capo di un certo ufficio pubblico chiede alla Grande Capessa (e di conseguenza anche a me) di preparare un documento che servirà a promuovere un certo progetto che abbiamo in comune.
Stamattina alle 9:30, la sua segretaria chiama per dire che il funzionario/capo vuole il documento entro le 12:00 di oggi, altrimenti non se ne fa più niente.

Ma 'sta gente è capace di aprire un'agenda ogni tanto, o naviga sempre a vista?!? >___<

lunedì, gennaio 26, 2009

Mi segno pure questa, va'.

Non paga di aver linkato questo post appena tre o quattro giorni fa, ne cito un altro pezzetto qui sotto, che è quasi meglio dell'altro. Fa riferimento al modo in cui sul web uno può selezionare amicizie, incontri e conoscenti, mentre in Real Life impara a relazionarsi anche con le persone anche quando vorrebbe farne a meno; il che aiuta a riflettere e maturare.

Gli amici e le persone che la pensano solo come voi sono utili come un auricolare infilato nel culo, spesso le migliori amicizie nascono proprio dalla risoluzione di un conflitto, c’è qualcosa di estremamente forte in un legame che NON si basa soltanto su un interesse comune.
[…]
Quanti insulti vi beccate ogni giorno se frequentate un forum? Quante persone passano il tempo a vomitarsi addosso tonnellate di spazzatura “tanto nel mezzo c’è lo schermo”?
[…]
Adesso ditemi, quante critiche avete ricevuto?
E non confondete le due cose, un insulto è qualcosa detto da una persona che non conoscete e di cui non ve ne potrebbe fregare di meno, una critica è il tentativo di qualcuno di aiutarvi a migliorare dicendovi qualcosa che non vorreste sentirvi dire.
Avete presente quelle situazioni di merda in cui abbassate gli occhi, oppure vi incazzate e vi ripetete che non è vero… quelle situazioni FASTIDIOSE (e qui torniamo sul bisogno dei rompicoglioni) che però vi aiutano a crescere?

domenica, gennaio 25, 2009

Alla faccia della pernacchia

Pare che il film The Women abbia preso non so quale anti-premio cinematografico (si chiama tipo "Pernacchia d'Oro" o qualcosa di simile) tra i più temuti e spaventosi...
Stranamente è un film che ho visto, io che al cinema non vado tantissimo, e che fosse una colossale boiata di film l'avevo capito anche da sola; eppure le ansie isteriche di Jada Pinketts Smith nella scena finale della sala parto mi hanno fatto ridere fino a versare lacrime e ad avere mal di stomaco. In fondo, cinque minuti di risate a crepapelle sono sempre un piccolo e sottovalutato tesoro.
[Nota 1: la parte in questione inizia verso 3:15 del filmato qui sotto... ma non può essere goduta appieno se uno non ha conosciuto il personaggio nel resto del film].
[Nota 2: No, Jada Pinketts Smith non è quella che partorisce, è quella che si aggira per la sala parto in preda a svenimenti e crisi di nervi.]

giovedì, gennaio 22, 2009

Questa me la segno

Saltellando di blog in blog, trovo un rimando a questo post, che fa alcune considerazioni sulla differenza tra Real Life e Net Life. Ne riporto qui il capoverso che mi piace di più (puro stile Garth Ennis, ma in un certo senso anche puro stile John Wayne), sperando che l'autore non se ne abbia a male.

Non ci vuole tanta scienza, siamo animali sociali e come scrive il tizio di Into the Wild, la felicità è reale solo se condivisa. Cucinate per i vostri genitori, fate una telefonata a qualcuno, parlate col vecchio in fila alla posta anche se vi manderà in culo, costruite un modellino, insomma staccatevi dal pc (ma non troppo), toglietevi il trucco emo, smettete di vivere ogni difficoltà della vita come se fosse un fottuto melodramma, smettete di di dire che “gli altri non vi capiscono” e capiteli voi, fate qualcosa che potete toccare con mano.

E con questo, mi pare ovvio, spengo il PC e vado a leggermi un libro, oppure a rufolarmi sul divano con le micie, o tutte e due le cose insieme.

Abbigliamento pre-maman

Nel mio solito giaccone non ci sto più: inutile insistere, la pancia impedisce alla cerniera di chiudersi, e non ci sono santi che tengano.
Quindi, siccome non sono così rintronata da comprarmi un giaccone nuovo di formato supermegaextralarge per usarlo solo tre mesi, mi sono fatta prestare dal Ghigo un grezzissimo giacchettone imbottito, molto ma molto calduccio, targato Suzuki, che gli è stato dato in omaggio dal MediaWorld anni fa. Credo che anche alla fine del nono mese potrei starci tre volte, quindi è decisamente quello che mi serviva, e non me ne frega niente se il giro manica mi arriva a mezzo braccio, e se complessivamente ricordo un bambino delle elementari con la giacca del fratello liceale, o Guccini quando canta "Eskimo".
Ma il commento migliore l'ha fatto mia sorella: "Con quell'affare addosso non sembri una donna incinta, sembri un benzinaio". 'Azz se ha ragione.

venerdì, gennaio 16, 2009

Sopravvissuta

Oggi ho avuto una delle conversazioni più complicate della mia vita, che avevo una gran paura di affrontare perché avrebbe potuto avere conseguenze molto tristi sul piano personale. Invece sia io che la mia interlocutrice siamo riuscite a mettere le cose giuste al posto giusto, senza fare inutili semplificazioni (visto che l'argomento semplice non era) ma anche senza oltrepassare il limite del buon senso e senza arroccarci sulle rispettive posizioni, visto che in caso di un "arroccamento" eccessivo il prezzo da pagare sarebbe stato troppo alto, per tutte e due. Insomma mi sento emotivamente stremata, ma contenta. Mi portavo dietro questo chiodo fisso da prima di Natale, mi stavo logorando, a volte mi toglieva il sonno. Avevo una paura tremenda che andasse a finire male, ma così invece non è stato. Stanotte si dorme. :-)

giovedì, gennaio 15, 2009

Piccolezze varie ed eventuali

Qualche giorno fa ho cenato un po' tardi e, mentre finivo di mangiare, mi sono zuzzata in tivù i primi 10 minuti di X-Factor. Una roba talmente pacchiana e kitsch (presentatore che invece di parlare urla, testi che manco i politici in campagna elettorale, luci stroboscopiche a tutto spiano) che difficilmente potrò dimenticarla. Mai più accendere il televisore quel giorno a quell'ora su quel canale.

La ministra francese della Giustizia, Rachida Dati, partorisce: tutto il mondo lì a chiedersi chi è il padre, mentre le associazioni femministe hanno da protestare perché la signora ha partecipato a un consiglio dei ministri appena cinque giorni dopo il parto. Nel frattempo, la ministra spagnola della Difesa, Carme Chacon, si presenta a una cerimonia ufficiale senza indossare l'abito da sera, e giù una montagna di critiche e rimbrotti. Ma dei bei "chìssene", mai?!

Tutti a bocca aperta ("Ooooooh!") perché il volto del nuovo presidente degli USA campeggia a tutto spiano sulla copertina di un numero di Spider-Man. Ma esattamente, dove starebbe la notizia? Capirai che scoop, l'apparizione di un presidente USA su un comic-book americano. Mah.

Recensioni negative all'unanimità per il film The Spirit diretto da Frank Miller, a confermare la sensazione già ricevuta da poster e immagini promozionali. So che dovrei andare a vederlo per ragioni professionali, ma c'è un limite a tutto. Lo aspetterò comodamente in DVD (pirata).

Dopo due anni di tentativi e ricerche a vuoto, ho finalmente trovato e acquisatato su ebay un libro che un tempo avevamo in casa, ma poi era sparito in quanto prestato e mai più tornato. I 5 euro meglio spesi della settimana.

Dopo tanto tempo passato a temporeggiare e cincischiare, ho fatto la checklist degli albi e dei volumi a fumetti che vorrei acquistare per ragioni di lavoro, di svago, in alcuni casi di puro collezionismo (andiamo, non ha senso avere una serie di 82 albi completa tranne che per un numero). Praticamente devo mettere da parte tre stipendi. Ho anche fatto due conti su come l'arrivo della nascitura frugoletta inciderà sul bilancio domestico... beh, tutto sommato credevo peggio, almeno per un po' direi che non finiamo sotto un ponte.

Ho scoperto l'esistenza di un sito/blog senza il quale non sarei mai riuscita a completare la checklist di cui sopra. Jenny Sparks santa subito, alleluja alleluja.

Ho scoperto che è sempre più in voga, in diversi ambiti, l'atteggiamento "ci sarebbe questa cosa da sistemare, ma per quieto vivere (o per interesse specifico) faccio prima a lasciar perdere, sperando che non se ne parli più e che cada nel dimenticatoio". Fate pure, io non ho né la voglia né il tempo di inseguire tutti gli interessati, quindi è probabile che, effettivamente, non se ne parli più. Ma il dimenticatoio, temo sia chiedere troppo.

Shock odierno, durante la consueta sfogliata dei principali quotidiani. Se mi avessero mai detto che un giorno sarei stata d'accordo con Veltroni su qualcosa, avrei avuto un attacco di riso convulso. Invece, guarda un po', è successo... mai porre limiti al destino.

sabato, gennaio 10, 2009

venerdì, gennaio 09, 2009

Uffa, però, che fatica...

Daria Bignardi conclude un bel post del suo blog con la frase: "forse è arrivato il momento di non perdonarli più tanto facilmente, quelli che non sanno chi sono e cosa fanno".

Maria Teresa Cometto e Glauco Maggi, autori del blog Figli e soldi che ho recentemente aggiunto qui nella colonna di destra, insistono un post sì e l'altro pure sulla necessità di sfuggire ai tabù conversazionali (incluso quello economico) e di armarsi di tanta lucidità e consapevolezza, per affrontare problemi e situazioni varie.

Me li tengo cari, questi blog, perché mi danno un po' di conforto quando mi viene da pensare che il prezzo da pagare per seguire certi principi a volte può risultare altuccio. Nevvero?

mercoledì, gennaio 07, 2009

Di mamme ce n'è una sola, grazie al cielo

Per combinazione, mi trovo a scrivere le prime righe di questo post mentre ascolto la colonna sonora di Chess (quella originale con Judy Kuhn) e in particolare il brano "Someone Else's Story", in cui la voce narrante racconta una serie di cose che riguardano palesemente se stessa, ma sempre parlandone in terza persona come se avessero a che fare con qualcun altro; solo nell'ultima riga ammette finalmente "the problem is that girl is me".

Dico che è una curiosa combinazione perché questo è il mio secondo post sul "fenomeno gravidanza" (il primo è qui) e perfino adesso che siamo al sesto mese inoltrato, a volte fa ancora capolino la sensazione che la diretta interessata non sia io ma, che so, un mio clone su un altro pianeta o qualcosa del genere. Diverse volte nell'arco della giornata mi "sveglio" improvvisamente da qualsiasi cosa stia facendo (lavoro, faccende, lettura...) e mi ritrovo a dirmi "oddio sono incinta!!!" sgranando gli occhi, come se fosse sempre una novità.

Mah. Misteri della psiche. Oppure "paturnie del tuo cervello bacato", come direbbe mia madre. E proprio la nonna della nascitura ha dato il meglio di sé nel mitico D-Day... ovvero il giorno dell'amniocentesi. Che detto così non ispira niente di particolarmente originale o divertente, ma per noi è stata un'impresa tipo attraversare l'oceano in barca a vela.

Ordunque, il fatidico giorno è stato il 3 novembre, data praticamente obbligata perché, visto lo spudorato ritardo con cui 'sta benedetta gravidanza è venuta fuori, e vista la necessità di fare l'amniocentesi entro un determinato momento, non è che fossero rimasti tanti buchi liberi nella lista d'attesa dell'ospedale.
Decido che è il caso di non andarci da sola perché, dopo essermi sentita ripetere a sfinimento che l'esame comporta una piccola percentuale di rischio per il feto, e che dopo l'esame avrei dovuto stare a riposo totale - drastico - assoluto per almeno 24 ore, mi viene da pensare che potrei farmi accompagnare, così da non dover nemmeno guidare per tornare a casa. E avendo in precedenza deciso che le 24 ore di super-riposo le avrei trascorse a casa di mia madre (in modo da non essere sola nel seppur remotissimo caso di complicazioni post-esame), va da sé che la candidata più ovvia per l'operazione accompagnamento era appunto la suddetta madre . Così, la mattina lei mi passa a prendere a casa, imbarchiamo in macchina il mio zainetto con pigiama e spazzolino (più ovviamente il portatile, perché a stare 24 ore ferma in un letto senza nemmeno poter lavorare divento idrofoba), e ci dirigiamo verso l'ospedale. Lei tutta tronfia di essere stata deputata a questo ruolo, io terrorizzata per due motivi: primo, l'amniocentesi stessa, e secondo, la guida di mia madre (che è fin troppo arzilla e si porta benissimo i suoi 74 anni, tranne che al volante).

Ci piazziamo in sala d'aspetto e attendiamo finché non mi chiamano. Entro nell'ambulatorio, mi fanno un po' di domande su gruppo sanguigno e altri dettagli vari, mi fanno firmare non so quante liberatorie e finalmente mi fanno piazzare sul lettino, a pancia scoperta. Da lì, è tutto un susseguirsi di cotone, disinfettante e copertine di tela verde (con effetto molto E.R.) che mi mettono addosso una dietro l'altra, finché ecco apparire, nelle mani del medico, l'oggetto più temuto di tutta la giornata: la siringa da amniocentesi. Che in realtà è fatta come una normalissima siringa se non fosse per l'ago, lungo quanto una matita... ma nei miei ricordi deliranti, ha più o meno questo aspetto:


[Inciso 1: la foto l'ho trovata su un sito di attrezzature ippiche...]

Dottore e infermiera partono con l'ecografia di monitoraggio. Le condizioni di base ci sono tutte, quindi si procede a inserire l'ago.
«Le assicuro che non si sente quasi niente», aveva detto l'altro dottore all'incontro di preparazione, «è come fare un'iniezione qualsiasi, tipo un vaccino». Verissimo, peccato però che un vaccino duri tre o quattro secondi, mentre qui per spedire l'ago bene fino in fondo e fargli superare i vari strati (tra cui, ehm, lo strato adiposo che nel mio caso non è trascurabile), di tempo ce ne mettono, e ovviamente quando uno è lì sotto, sembra che non finisca mai.
Sempre il dottore dell'incontro preliminare: «Se a un certo punto sente come una specie di scossa non si preoccupi, è una contrazione dell'utero che reagisce al foro». Non la definirei esattamente una scossa, diciamo pure il morso isterico di un chihuahua a pieni canini, ma capisco che per un medico non sarebbe appropriato usare un simile termine di paragone.
Ad ogni modo resto lì più immobile che posso (l'infermiera: «Signora, guardi che può respirare, sa?») e attendo stoicamente che il tutto sia finito. Dopo un po' arriviamo all'estrazione dell'ago, con altre cinquecento passate di cotone e disinfettante, via tutte le copertine verdi, e finalmente mi fanno uscire dall'ambulatorio, con l'ordine di rimanere in sala d'aspetto una mezz'ora, dopodiché sarei stata richiamata dentro per un ulteriore controllo ecografico (insomma prima di mandare via la gente vogliono essere sicuri di non aver causato nessun danno).

Quindi mi ri-piazzo in sala d'aspetto, racconto a grandi linee l'accaduto a mia madre (che è curiosa come una bertuccia perché per lei tutte queste cose sono fantascienza), e trovo pure la voglia di dare un colpo di telefono a mia suocera per una verifica sul gruppo sanguigno del Ghigo, che a memoria non mi ricordavo e il dottore mi aveva chiesto. Insomma, lì per lì tutto bene.
Poi iniziano i dolorini in corrispondenza dell'iniezione, inizia un senso generale di malessere e mi sento accaldata.
Mia madre: «Che hai? Non ti sentirai mica male adesso?!?»
Io: «Boh, mi sento un po' rincretinita, ma niente di grave, me ne sto qui buona buona...»
Lei: «Ti devo chiamare l'infermiera?»
Io: «No, no, ma figuriamoci, cosa la chiami a fare, non ho niente.»
Tempo cinque secondi, inizia a girarmi la testa e mi sento le orecchie che si tappano, classici sintomi di svenimento in arrivo.
«Mamma?»
«Eh.»
«Chiamami un po' l'infermiera, va'...»
Lei schizza via come una lucertola, mentre io bofonchio «Non correre, mamma, non sto morendo», e in capo a due secondi mi rimedia un'infermiera che prima mi ribalta di novanta gradi in modo da sdraiarmi sulle sedie della sala d'aspetto, poi mi tira su le gambe e aspetta che la mia faccia riassuma un'espressione coerente. In realtà allo svenimento completo non ci arrivo, appunto perché l'infermiera mi ribalta in tempo... e quindi sento perfettamente l'amabile genitrice confidare all'infermiera e a tutti i presenti della sala d'aspetto:
«Eh, cosa vuole, fa sempre così, lì per lì regge benissimo e poi molla di colpo!»
Terra inghiottimi, terra inghiottimi, terra inghiottimi...
«Mamma, ti prego!!!» °___°

[Inciso 2: «fa sempre così» si riferisce ad un'unica altra occasione in cui, dopo essere uscita da un ambulatorio dove mi avevano bruciato una verruca su una mano con l'azoto liquido, mi sono sentita male. Avrò avuto undici anni, tanto per capire con quale spropositata frequenza sono soggetta a tali fenomeni. Altre volte sono svenuta per dei cali di pressione o perché mi sono fatta male, tipo tagliandomi un dito con un coltello da cucina, ma anche qui parliamo di occasioni abbastanza rare.]

Probabilmente spronata dall'attacco di vergogna, in capo a pochi secondi mi riprendo e mi dichiaro pronta a rialzarmi, ma l'infermiera no, per sicurezza mi piazza supina su una barella e mi scarrozza (con mia madre che ci trotta dietro tipo Lassie) in una saletta poco lontana, dove ci lascia parcheggiate «il tempo necessario a essere certa che non ci siano problemi».

Il tutto accade intorno alle dieci. Passata l'una, siamo ancora lì in attesa a fare chiacchiere e inizia a venirci il dubbio di essere state dimenticate.
«Accidenti, mamma, che gran perdita di tempo... e c'ho pure una fame...»
Lei si avventa fuori dalla saletta e si piazza in agguato sulla soglia finché, combinazione, vede passare proprio la "mia" infermiera.
«Scusi, signora, mi sa dire quanto tempo manca ancora? Perchè sa, mia figlia ha fame!»
«MAAAAMMAAAAAA...!!!!!!» >___<
«Che c'è? Me l'hai detto tu che hai fame!»
«Sì... cioè... però non... insomma...!»
L'infermiera ride sotto i baffi, replica "ah guardi, signora, anche io non vedo l'ora di avere finito e di andare a casa a mangiare", e dopo una decina di minuti mi chiama dentro per il controllo, che ringraziando il cielo va liscio come l'olio (compresa un'altra siringata da cavallo di immuno-non-so-cosa dovuta alla differenza di fattore RH tra me e il Ghigo).
Mi riempiono nuovamente di raccomandazioni («Stia calma e tranquilla, riposo assoluto, nessuno sforzo di nessun tipo, tantomeno in zona addominale», ecc ecc) e finalmente, verso l'una e mezza, usciamo dall'edificio dell'ospedale e ci avviamo all'uscita dal cortile... dove, prima che io me ne renda conto, mia madre inforca il tornello dal verso sbagliato proprio mentre io lo sto attraversando, e me lo fa arrivare di schianto dritto sulla pancia.
«Maaammaaaaaaa...» *___*
«Che c'è?»
«No, niente... lascia stare...»
«Umf. Ma che ha 'sto coso, che non gira?»
«Di qua, mamma, da questa parte, in senso orario...»
«Ah ecco, mi pareva.»

Ultimo atto, lungo la strada passiamo a casa di mia sorella, che doveva allungarmi un libro. Io resto in macchina buona buona, mentre mia madre va a citofonare. Mia sorella scende col libro e, alla domanda «Allora com'è andata? Ci avete messo un sacco di tempo!», qual è la risposta di mia madre, con tanto di tono scocciato?
«Per forza, quell'oca di tua sorella ha pensato bene di mettersi a svenire!»

domenica, gennaio 04, 2009

Abbasso il politically correct

Il politically correct è una di quelle cose verso cui nutro molto rancore: lo trovo inutile, falso, retorico, fuorviante e un mucchio di altre cose. Anni fa, il gruppo di lavoro con cui collaboro mise insieme una mostra (peraltro molto bella e ben fatta) sulla rappresentazione dell'handicap nel fumetto, e optò per il titolo "Diversabili". Io non avevo mai sentito prima questa parola e mi chiedevo se l'avesse inventata il curatore della mostra o se l'avesse semplicemente presa a prestito. Comunque fosse, la trovavo disgustosamente politically correct e provai più volte ad oppormi, a dire che era una schifezza di titolo, che era una presa in giro... non fui ascoltata, ma tutto sommato nessuno dice che io dovessi per forza avere ragione, né che potessi avere un'opinione a ragion veduta su un tema così delicato.

Oggi è la seconda volta che mi sento rincuorata all'idea di non essere la sola a snobbare il politically correct anche in contesti complicati e difficili da capire per chi non li vive in prima persona. La prima volta fu diversi mesi fa, alla vista di un cartellone pubblicitario, che aveva a che fare con la legge 68/99 sull'obbligo di assunzione di dipendenti disabili da parte delle aziende con più di 15 dipendenti, e recitava "Chiamateci disabili. Chiamateci svantaggiati o diversamente abili. Però chiamateci." Secondo me, era folgorante e colpiva nel segno, mettendo il dito proprio nella piaga della differenza tra forma e sostanza, tra l'inutilità di un mucchio di gentili diciture e l'utilità concreta di una legge.

Oggi, poi, trovo sul Giornale questa lunga intervista al comico spastico David Anzalone (autore del libro "Handicappato e carogna" e protagonista dello spettacolo teatrale "Targato H"), di cui riporto questi stralci illuminanti.

Giornalista (citando un passo dal libro di Anzalone): «Se devo dirla tutta, la mirabolante e diffusissima idea che gli handicappati siano persone normali, come tutte le altre, è veramente la più grande cazzata in circolazione oggi nel mondo», scrive nel libro. L’avessi detto io, mi sarei beccato una querela.
Anzalone: «Ma è la verità! Noi handicappati non siamo normali. Siamo diversi. È importante ricordarselo, sempre. Le faccio un esempio: se lo tenessero ben presente gli architetti che progettano le case e le città, sicuramente ci sarebbero meno barriere architettoniche. Il fatto che lei non lo possa scrivere la dice lunga su quanto siano radicati il pregiudizio e la paura del diverso».
Giornalista: Come vuol essere definito? Handicappato? Disabile? Diversamente abile?
Anzalone: «Handicappato mi va benissimo. Detesto gli eufemismi che servono a mascherare la paura dell’incontro con l’altro».
Giornalista: Come mai la gente non sospetta che un handicappato possa essere anche una carogna?
Anzalone: «Perché la gente è vittima dei preconcetti. Considerare buoni a priori gli handicappati è un modo per tenerli a distanza. I preconcetti sono armi per difenderci, goffamente, da tutto ciò che è diverso da noi».
Giornalista: Ha cercato anche l’amore a pagamento, ma nemmeno le prostitute l’hanno presa sul serio. Non è degradante contrattare la carne umana?
Anzalone: «Ero molto combattuto. L’amore non si compra, mi dicevo. Poi però, razionalizzando, sono giunto alla conclusione che, almeno nel mio caso, si sarebbe trattato di un noleggio. Era una straniera. La mia camminata ondulatoria la convinse che mi fossi perso per strada. La cosa bella fu che, non appena provavo a spiegarle le mie serie intenzioni di acquirente, lei mi ripeteva: “Tranquillo, non agitare, essere io qua con te! Non agitare, adesso chiamo polizia e faccio accompagnare te a casa”. Ho voluto raccontare questa vicenda paradossale per sottolineare che anche una persona ai margini della società, come una prostituta, può diventare prigioniera del pregiudizio secondo cui l’handicappato è asessuato».

Adesso, non dubito che ci siano occasioni e circostanze in cui uno non può andare avanti a spada tratta senza il minimo riguardo e rischiare di essere offensivo nei riguardi di persone che hanno già abbastanza gatte da pelare, eppure una posizione così aperta e combattiva non può non suscitare tutta la mia ammirazione.