sabato, agosto 02, 2008

Bello senz'anima

Che posso farci? Non mi ha entusiasmata.

I comprimari, sì. Inutile tessere le lodi di Heath Ledger, lo hanno già (giustamente) fatto tutti. Inutile puntualizzare quanto sono bravi Michale Caine e Morgan Freeman, niente di nuovo sotto il sole. Inutile anche sospirare di sollievo all'idea che Maggie Gyllenhaal abbia sostituito lei, lì, come si chiama, non mi ricordo, quella morettina insipida dell'altro film.

Però, però... quanta carne al fuoco, tanta, troppa. E la genesi di Due Facce, e il Joker che stesse mai fermo e zitto un minuto, e uno sbarello di mafiosi che la metà bastavano, e i poliziotti corrotti, e il contabile che scopre l'identità di Batman per caso, e la famiglia di Jim Gordon in pericolo... e in tutto questo, Batman nemmeno ho capito dov'era e se c'era.

Bello il costume, per carità, e bella Gotham, belle le vetrate, le strade, le luci. Tante belle cose, ma del film, più che "carino" non riesco a dire.

La classe non è acqua

Stavo archiviando un tot di vecchissima posta elettronica e ho ripescato una mail di cui quasi non mi ricordavo più.

Quasi.

Diverso tempo fa, capitò che un mio collega avesse inviato a un certo numero di editori una proposta pubblicitaria, che in soldoni diceva: "se vuoi ci sono degli spazi pubblicitari disponibili sulla nostra rivista, costano così e cosà, speriamo che l'offerta ti interessi".

Come sempre, alcuni dicono di sì, altri dicono di no. Tutto normale.

Un bel po' di mesi dopo, succede che sulla rivista venga pubblicata una recensione negativa su un fumetto pubblicato da uno degli editori che avevano risposto di no. Anche questo è normale, le recensioni negative sono sempre esistite, e prima o poi toccano un po' a tutti.

Il numero esce, e dopo un po' mi arriva una mail dall'editore in questione, che chiede: "Questo è ciò che otteniamo per non aver acquistato spazi pubblicitari?"

Bella, l'editoria a fumetti (e non sto parlando solo di quella italiana).
A volte, basta che uno stia seduto su una poltrona un po' più grande delle altre, e si sente in dovere di mostrare al mondo quanto è figo, cinico e spavaldo.

Oppure - punti di vista - quanto è un completo cazzone.

martedì, luglio 29, 2008

Cassandra once more

Piccola/grande soddisfazione.

Da tanto tempo ormai non sono altro che una lurker nel forum di Cats, che resta però un piccolo covo di mattacchioni ai quali sono molto affezionata. Proprio per via del fatto che non sono più un membro granché attivo della community, lo scorso gennaio mi ero volontariamente ritirata dal "Forum Casting", un gioco nel quale i membri del forum stilano un cast virtuale dello spettacolo abbinando altri membri del forum ai personaggi. Ovviamente, non conoscendoci di persona (quasi nessuno), per decidere gli abbinamenti ci si basa su quanto, a parere di ciascuno, la tal persona è affine al tal personaggio in termini di carattere, personalità, atteggiamenti, eccetera. Niente che abbia a che fare con l'aspetto fisico, insomma.

Nelle tante edizioni del Forum Casting a cui avevo partecipato, ho quasi sempre concorso per il ruolo di Cassandra, la gatta abissina, per il quale dovevo sempre competere con un'altra pretendente (SadieCass). A volte ho vinto io, a volte ha vinto lei... e si è comunque sempre trattato di una competizione molto sportiva, nella quale l'una votava per l'altra ed anche la "campagna elettorale" era condotta in termini molto scherzosi e affettuosi.

Poi, un po' alla volta, Sadie si è eclissata, mentre io ho continuato ad essere partecipe del Forum, e questo ha quasi automaticamente comportato che il ruolo di Cassandra fosse mio ad ogni edizione del Forum Casting. Da un lato l'assenza di Sadie rendeva il gioco molto meno avvincente, dall'altro mi faceva comunque piacere che gli altri partecipanti motivassero il loro voto nei miei confronti, e quindi che non fosse solo un'abitudine.

Lo scorso gennaio, come dicevo, mi sono tirata indietro spiegando a tutti che, vista la mia partecipazione quasi nulla al Forum stesso, era meglio che i nuovi membri più attivi si giocassero anche quel ruolo. E così è andata: quella del Forum Casting era una fase della mia vita che consideravo conclusa, un gioco che aveva fatto il suo tempo.

E ieri, che cosa scopro? Che si è tenuta l'edizione estiva del casting (edizione che io manco ho notato col binocolo, perché durante tutto il periodo di Cartoon Club ho lavorato sedici ore al giorno o anche più, senza certo avere il tempo di girare per forum)... e il ruolo di Cassandra è nuovamente mio! Insomma, non avendo io detto nulla al riguardo, gli altri non hanno dato per scontato che il mio ritiro di gennaio valesse anche per luglio, e mi hanno votata.

E' una sciocchezza, è un gioco, è una cosa di cui sorridere. Ma non riesco a non pensare con tenerezza a quella banda di mattacchioni che ancora si ricordano di me, e abbinano la mia personalità a quella di Cassandra scrivendo anche cose tipo "Swan will always be Cassandra to me". Gh. Sono quasi un po' commossa. ^__^

Edit: eccola, Cassandra, in un dipinto di Michaela Oloffson, con il volto un po' beffardo di Tiffany Graves che ha interpretato il suddetto personaggio nel Final London Cast.

domenica, luglio 27, 2008

Senza bisogno di scuse

Per caso sto bloggando troppo?
Va beh... è che dopo tanto tempo di astinenza, adesso me ne vengono in mente diverse. Questa non è particolarmente originale, ma si merita una citazione.

Ieri l'altro.
"Allora, domani a pranzo?"
"Domani a pranzo. L'unica cosa è che non so a che ora riesco ad arrivare, perché alle 12 devo andare dal medico, e spesso e volentieri c'è fila, quindi potrei fare un po' tardi."
"Senti, tu dammi un colpo di telefono quando hai un'idea di come sei messa e poi vediamo, al massimo mi raggiungi quando puoi, io nel frattempo do comunque da mangiare alla bambina... insomma fammi sapere, l'orario non è un problema."
"Andata. Allora ci vediamo domani."

Ieri, ore 9:45 circa.
"Pronto?"
"Buongiorno..."
"Hòla! Buongiorno a te!"
"Che fai di bello?"
"Solite cose... lavorini vari, poi più tardi devo andare dal dottore. Perché?"
"No, niente, cioè, volevo chiederti se oggi ti andava di pranzare da me, avrei bisogno un po' di sostegno psicologico..."
"Il tempo di finire col dottore e vengo da te."
"Sicura? Non ti incasino?"
"Non mi incasini. Ci vediamo dopo."

Sempre ieri, ore 12:00.
"Ciao, sono io".
"Ah ciao! Allora?"
"Sono arrivata dal dottore adesso, ho un po' di gente davanti..."
"Va bè, allora rimaniamo come avevamo detto, no? Quando hai fatto mi chiami."
"No, 'spetta, c'è un cambiamento di programma, mi è stata chiesta un po' di presenza da chi-sai-tu. Possiamo rimandare il nostro pranzo, vero?"
"Assolutamente sì. Vai tranquilla, non c'è il minimo problema, anzi poi fammi sapere come va, eh? Vai, muoviti!"
"Un attimo... prima il dottore... ma poi vado!"
"Mi raccomando, eh? Poi aggiornami su tutto!"
"Okay. Grazie mille."
"Ma niente, figurati! Ci sentiamo!"

Sarà perché anche lei ha un amico un po' particolare del quale a volte deve prendersi cura...
Sarà che fra di noi c'è questa specie di patto silenzioso per cui ciascuna si mette istantaneamente da parte quando l'altra è impelagata con il proprio "uccellino"...
Sarà che un pranzo saltato o un impegno rimandato per questo motivo non costituiscono nemmeno lontanamente un problema, per un rapporto di amicizia che non ha nessun bisogno di prove o dimostrazioni per sapere di essere solido...

...ma un ringraziamento "pubblico" qui ci stava tutto, sia per questa volta che per tutte le altre occasioni simili, in cui ho il privilegio di poter semplicemente dire le cose come stanno, senza cercare scuse o attenuanti, senza sentirmi in difetto, sapendo che va bene lo stesso e che non subirò alcun tipo di muso o malumore.

Grazie, Mo'.
Ti conosco e quindi so che a te sembra una cretinata, ma credimi non è da tutti.
Grazie davvero.

Quel poco che vale così incredibilmente tanto

Che ci vuole a prendere una canzone e dedicarla a qualcuno?
Niente, ci vuole. Un click su una tastiera, tre parole in una chat, un allegato ad una mail.
Eppure, con così poco, qualcuno mi ha triturato il cuore nel miglior modo possibile (come se già non lo facesse quotidianamente da sedici anni a questa parte).

sabato, luglio 26, 2008

Fenomenologia dell'SMS


Stamattina, ore 10:30 circa, mi dedicavo a un peccaminoso spaparanzamento atomico nel lettone, con encefalogramma praticamente piatto e animato solo da un minuscolo picco di tanto in tanto, corrispondente alla domanda "Tiro dritto a ronfare o do l'assalto al marito?"...

Ecco, nel mezzo di questa calma piatta...
Bip bip. Messaggio sul cellulare.

"Tutto ok?"

Mi gratto la testa con espressione acuta e mi chiedo il perché della domanda.
Avevo a mia volta scritto qualche SMS o email preoccupante durante la notte?
Avevo detto qualcosa di particolarmente brutto il giorno prima?

Mi pare di no. Quindi invio risposta: "Normale. Perché?"
Risposta: "Solo un saluto".

Adesso... questa fa il paio con le ormai numerose occasioni in cui io, siccome non voglio disturbare o siccome so che l'altra persona in quel momento ha da fare o siccome sto arrivando a fine credito, mando un SMS che dice "Mi chiami? Grazie".

Non: "Ho un problema, chiamami".
Non: "Sto male, fatti sentire".
Non: "Sto morendo, ho bisogno di aiuto".
Semplicemente: "Mi chiami? Grazie".

La telefonata che mi arriva, inizia immancabilmente con un impanicatissimo "Cosa è successo?!?". E già la dice lunga sul grado di pace, rilassatezza e tranquillità delle nostre vite quotidiane.

Adesso poi stiamo arrivando al paradosso.
Prima ancora di ricevere un qualsivoglia segnale che potrebbe anche forse ma sì quasi quasi essere interpretato come indizio rivelatore oltreché sintomatico di problemi, un banale saluto non è più "ciao, come va?"...
...o magari un più raffinato "Volevo darti il buongiorno ma forse a quest'ora del sabato mattina ti stai chiedendo se continuare a ronfare o dare l'assalto al marito"...
...bensì: "tutto ok?"

Qui urge un mese di relax in un centro benessere del Trentino fra pascoli e alberi di mele, altroché.

venerdì, luglio 25, 2008

Ma allora esistono davvero...

Perla velocissima.

Ho sempre pensato tutto il male possibile delle persone che ci tengono a vestirsi con capi firmati e a farlo notare. Per carità, un momento di vanità capita a tutti, e non è che gli stilisti in quanto tali siano dei mostri, e non ci vuole niente che una persona si senta più a suo agio o più attraente con degli abiti disegnati da Tizio invece che da Caio. A farmi venire la trebisonda è l'interesse compulsivo verso la firma di qua e la firma di là.

Ciò premesso, è però anche vero che non mi sono mai imbattuta in persone talmente infognate nella caccia all'abbigliamento firmato da farmi saltare i nervi. Va da sé che ciascuno frequenta le persone con cui si sente più a suo agio, e quindi nelle mie conoscenze è difficile che si annidino dei maniaci della griffe. Talmente difficile che iniziavo a pensare che tali maniaci fossero ormai bestie rare in via di estinzione, eccezion fatta per le star di Hollywood o gente del genere... iniziavo a pensare che, in fondo, nemmeno esistessero, che fossero leggende metropolitane.

E invece, ieri mi imbatto nel blog di un cretino (cioè, uno che ha già ampiamente dimostrato di essere un cretino, per via di una serie di cose che ha fatto), e fra le tante idiozie, in mezzo a un elenco di vanterie di varia natura sulla sua presunta bellezza, intelligenza, sexytudine e altro, cosa ti vado a leggere?

"Io vesto griffato".

MWAHAHAWHAHAHAHAWWAHAHAAWAHAHAHAAAAAAAA!!!!!!!!

Quindi esistono... esistono davvero...
Cazzo, è quasi meglio che aver preso contatto con degli UFO!!! ^___^

L'amore secondo Joss Whedon

Sono mesi che ho in mente una massima di cui mi piacerebbe elaborare una variante migliore, ma non ci riesco. Insomma alla fine me la tengo così, almeno per ora:

"L'amore non è meritocratico".

Servirebbe una variante migliore per almeno due motivi.
Il primo motivo è che la parola "amore" trae in inganno, perché in italiano la si usa prevalentemente per indicare l'amore di coppia mentre io avrei in mente un più generale sentimento di "voler bene" (no, la parola "affetto" non funziona perché guadagna in precisione semantica ma perde in intensità). Insomma ci vorrebbe un equivalente dell'inglese "love" ma quell'equivalente noi non ce l'abbiamo.
Il secondo motivo è che in realtà quella massima non è sempre e completamente vera... a volte l'amore è anche un po' meritocratico, a volte concetti come "gratitudine" o "merito" hanno un pochettino di voce in capitolo. Ma qui si apre un tale pozzo di situazioni, circostanze, contesti e casi particolari (tra cui il classico dei classici: "perché ci si innamora degli stronzi?"), che uno ci si perde.

La cosa bella è stata, alcuni mesi fa, quando già questa massima si aggirava in fase embrionale nella mia testa, imbattermi in una storia degli X-Men scritta da Joss Whedon (sì, quello di Buffy e bla bla bla, ha scritto delle X-storie con poco sugo ma dialoghi apprezzabili) e trovarne una emblematica "rappresentazione vignettoide".


E non c'è nient'altro da dire.

giovedì, luglio 24, 2008

Una briciolina di tristezza

La cosa bella di quando finisce un festival a cui hai lavorato come un'ossessa, è che ti riposi.

La cosa brutta è che sbatti improvvisamente il muso contro tutte le cose che il festival ti aveva fatto mettere da parte, nel bene e nel male. Quindi ci sono le cose belle che puoi finalmente curare, ma anche le cose brutte che adesso ti tocca affrontare.

Di quest'ultimo reparto, così per la cronaca, fa parte una bella figura di merda che NON descriverò nello specifico e che mi causerà guai per mesi. Ma va bè, si sopravvive lo stesso.

Sempre fra le cose brutte che per necessità logica si possono affrontare solo dopo la fine del festival, c'è il bilancio conclusivo dello stesso festival, che per sua storica definizione, a mente calda e fredda a fasi alterne, è un bilancio negativo. Per quanto le cose nei riguardi dell'utenza possano aver funzionato bene (con qualche eccezione che si fa presto a limare), nei riguardi miei sono andate maluccio. Come l'anno scorso? A dire il vero, peggio dell'anno scorso.

Troppa fatica. Troppo stress. Troppa agitazione. Troppi malumori. Ogni volta mi dico che niente sulla faccia della terra merita una tale quantità di fatica (psicologica ed emotiva, che sono due cose diverse), e ogni volta ci ricasco. Per carità, ci sono state soddisfazioni enormi, persone che ti guardano negli occhi, e ti ringraziano per le cose che hai fatto, e sono veramente piene di stima e gratitudine nei tuoi confronti... e lì per lì ti dici "ne è valsa la pena".

Poi fai i conti con certe conseguenze fisiche, e già inizi a scuotere la testa. Lo sai che non hai più 20 anni, lo sai che dovresti avere uno straccio di rispetto in più per il tuo corpo, il quale già ha determinati casini e tu non fai altro che aggravarglieli. Proprio in questi giorni sto affrontando un problema non grave ma quantomeno fastidioso, che riporta di attualità tutta una serie di cose poco simpatiche. E iniziano a girarmi i maroni, perché le magagne di salute già sono poco belle, ma andarsele pure a cercare è veramente da deficienti.

Andando avanti: ho trascurato mezzo mondo, ho lavorato molto male su altri fronti, e quando poi mi sorprendo a pensare che sì, dài, quantomeno valeva la pena di affrontare questa sfida per dare una bella mano al Capo ed evitarle l'ennesimo massacro di quest'anno, poi in fondo noto che la mia presenza è solo servita ad permettere al Capo di lasciarsi massacrare da altri eventi e circostanze invece che dal festival, ma sempre di massacri si è trattato. E allora che cazzo mi sono messa in mezzo a fare?

Non so. Questi sono i momenti in cui mi intristisco e penso che ogni tanto, forse potrebbe non essere brutto essere una persona normale. Quantomeno, un po' più normale di quanto io non sia. Lavoro regolare... stipendio regolare... previdenza... orari fissi... stabilità... la sera spegnere il computer e spegnere anche la parte di cervello deputata al lavoro...

Mah. Non ce la potrei mai fare, sia chiaro. Sono solo i classici momenti in cui l'erba del vicino è sempre più verde della mia. E mi ci intristisco un po'. Probabilmente, una volta che sarò riuscita ad arginare i danni della figura di merda, e che avrò risolto il fastidioso problemino, già vedrò le cose in maniera un po' diversa... stasera però avrei solo voglia di passeggiare per la città al buio per ore, prendendo a calci una lattina.

lunedì, luglio 21, 2008

E anche per quest'anno è andata

Fra giugno e luglio, questo blog viene sempre abbandonato.

E' una cosa fisiologica. E' che arriva Cartoon Club, il che significa che sparisco io. Iniziano le nottate a lavorare, iniziano le traduzioni, iniziano le centinaia di mail al giorno, iniziano anche le arrabbiature, gli screzi, le riappacificazioni, i momenti di soddisfazione e quelli di delusione: tutta roba normale, è solo il tasso di concentrazione che sale tutto in una volta.

Poi, di colpo, finisce. Di domenica, la sera. QUESTA sera.

Tra l'altro, quest'anno nello stesso periodo di cose ne sono finite diverse.

Anzitutto, per l'appunto, Cartoon Club. D'accordo, ci sono alcuni strascichi di cui occuparsi, ma le giornate più caotiche e difficili sono andate.

Pochi minuti fa ho pure consegnato l'ultimo copione che avevo promesso, e fino ai primi di agosto non voglio più vederne nemmeno uno. Lezione importante: mai più, dico MAI PIU', prendersi l'impegno di continuare a sfornare copioni anche durante Cartoon Club. Anzi, meglio ancora: mai più impegnarsi a sfornare copioni mentre sto facendo qualcos'altro che assorbe gran parte della mia attenzione, sia essa Cartoon Club o una vacanza. Quest'anno sono stata imbecille due volte: ho promesso che avrei sfornato copioni durante la vacanza in Canada, andando fin là armata di portatile, e poi durante Cartoon Club, portando avanti le due cose in contemporanea. Ripeto: mai più. Credo di essere viva per miracolo, e comunque ho scritto della roba indecente.

La settimana scorsa, ho visto stampato il primo numero di Fumo di China al quale NON ho lavorato. Cioè: ho scritto un articolo, ma in qualità di "collaboratrice qualsiasi", e non di redattrice. L'attività di redazione l'ho abbandonata, dopo dieci anni che la portavo avanti. Sono troppo assorbita da altre cose, sia di lavoro che personali, e un fronte andava per forza abbandonato. Dentro FdC ora ci sono forze nuove, più giovani, più entusiaste, più adatte di me. Non aveva senso rimanere. Ho addosso un po' di malinconia, ma sono molto convinta di aver fatto bene.

Tornando a Cartoon Club: com'è andato?
Boh... credo bene. Cioè: da un lato ho avuto tantissime soddisfazioni, conosciuto gente nuova, ricevuto complimenti e attestazioni di stima, fatto figuroni a cui in effetti tenevo, rivisto persone che non vedevo da un secolo e che mi hanno salutato con lo stesso entusiasmo con cui io ho salutato loro (Paola, rivederti è stato veramente un enorme piacere). Dall'altro lato non sono sicurissima che tutte queste cose siano valse la quantità di stress e di fatica accumulata negli ultimi mesi. Ohi, mica si può andare avanti così, ogni tanto voglio pure respiraaareeeeee...

Però, adesso basta con le geremiadi, dài che in fondo non va male. Ho solo bisogno di fare un po' di cura del sonno, che sarà mai. A questo punto mi resta solo da abbracciare virtualmente e pubblicamente i "compagni di avventura" che negli ultimi tre giorni mi hanno fatta più rilassare e divertire: Steve (sei un artista), il Topo (cazzo, Topo, ti ho appena ascoltato su MySpace! Ma canti benissimo!!!), Maggie (sei una vera professionista) e Svizzero (l'enciclopedia umana).

Tra i "colleghi / non colleghi", il primo posto in termini di simpatia, cortesia e gradevolezza va a pari merito a Lorenzo da una parte (con orchestra al seguito), e ad Elisabetta e Martina dall'altra. Fossero tutti così, gli ospiti!

Palma dello sbriciolamento di maroni a un certo gruppone di ospiti da un certo paese straniero. Se dovevate venire fino in Italia solo per fregarvene degli appuntamenti che il festival vi proponeva e affogarvi di Sangiovese, la prossima volta ditemelo che ve ne spedisco quattro casse direttamente a casa, e così potete sbronzarvi in totale autonomia.

E poi un abbraccio speciale alle due che, per cause di forza maggiore, NON sono venute... la Donna Bionica e PurpleCri. Ci siete mancate, ma proprio TANTO.

End of the story per quest'anno, si inizia a pensare al 2009.
Ma con calma, eh?

lunedì, giugno 09, 2008

Ricordi da Bognor Regis

Due piccole perle che risalgono a un paio di mesi fa, quando ero in Ingihlterra per vedere un festival di cinema indipendente e stare nella giuria della sezione competitiva per cortometraggi di animazione.

Perla numero uno. Mi guardo questo film intitolato Donovan Slacks, una coproduzione inglese, turca e non so che altro, molto più gradevole e visionabile di quanto mi fosse stato prospettato, con tanto di colonna sonora struggente e malinconica.
Insomma arriva un dialogo, fra il protagonista e la pescatrice di cui è innamorato, che suona più o meno così:
«Hai davvero bisogno di me... o mi stai solamente usando?»
«Tutti usano tutti, prima o poi. L'importante è essere sicuri che coloro che ci usano siano persone che ci piacciono.»
Questa cosa mi si è piantata nel cervello e non se ne va più.

Perla numero due. Fra i cortometraggi animati che ero chiamata a giudicare c'era tale Pushkin, realizzato da Trevor Hardy. Una delizia. Ha vinto proprio lui, e ne sono stata davvero contenta. Ecchelo qua: godetevelo.

domenica, giugno 01, 2008

Tornata

Giusto una comunicazione di servizio, per avvisare che sono di nuovo in zona, ormai da qualche giorno, ma ancora piallata dal jet-lag, a cui ho una resistenza davvero infima (sarà l'età).
Per chi non lo sapesse, sono stata una dozzina di giorni a ricaricare le batterie in Canada, prima a Toronto e poi a Vancouver. Dopo la sortita di quest'estate l'avevo detto che volevo tornare, no? E quindi l'ho fatto. E lo farò ancora. In fondo il volo non costa un'esagerazione, e una volta in loco ho amici che mi aiutano a spendere il meno possibile sul fronte vitto e alloggio.
Tra l'altro, prima del giro canadese, mi era toccato anche un giro inglese, mezzo di lavoro e mezzo di svago. Ho avuto occasione di soggiornare a Bognor Regis, sulla costa sud, e mi sono goduta il tepore e la brezza di un posto di mare in bassa stagione, con lunghe passeggiate solitarie, riflessi di sole sull'acqua del mare, e tanta musica che diversamente non avrei mai ascoltato con la stessa attenzione.
Per quel che riguarda la trasferta oltreoceano, temo di non essere in grado di spiegare quanto e come sono stata bene. In Canada ci ho lasciato un pezzo di cuore, strappatomi direttamente dal torace senza troppi riguardi, e questo è tutto quel che riesco a mettere insieme su quei giorni. Ma senza rimpiangerne neppure un secondo.

domenica, maggio 11, 2008

Ma santa pazienza...

...dimmi un po' tu se, di nuovo, devo farmi dare lezioni da Garth Ennis.

Non è uno sceneggiatore di quelli che adoro: è solo uno di quelli che mi piacciono. E uno che, anche se ricicla spesso le stesse idee, lo fa con uno stile ormai collaudato e di cui è totalmente padrone. Insomma, non sarà uno di quelli che tirerebbero fuori una mega-sceneggiatura anche dalla lista della spesa, ma, per dirla come la direbbe lui, ci va fottutamente vicino.

Poi, ogni tanto, mi costringe a spostare la mia attenzione dalla forma delle sue storie al contenuto, e nonostante un serie di eccessi, sbruffonate e panzane varie, infila dentro ai suoi fumetti pillole di buon senso al quadrato, che dopo averle lette sembrano tutte l'uovo di Colombo, ma prima lo sembrano molto meno.

Così va a finire che, persino in un volume ben poco significativo come Midnighter: macchina per uccidere, che ha a che fare con la solita storia dei viaggi nel tempo e delle possibili (o impossibili) modifiche agli eventi, mi ritrovo un insieme di frasi che, cucite insieme, compongono il seguente pistolotto: "Il passato è un po' bastardo. La gente ama l'idea di cambiarlo, crede che sia il modo per risolvere tutta la loro merda. Ma è inevitabile: è passato, è finito, e non può essere aggiustato come il lavoro fatto male di un idraulico. La gente fa schifo, il passato fa schifo. Ma non è una buona scusa per non voler cambiare il futuro. Cambiare ciò che è già successo non funziona: la maggior parte delle volte sono solo idioti troppo pigri per non cambiare quello che deve ancora venire".

Sarà anche un pistolotto farcito di banalità, ma è proprio il genere di fottuta risposta che volevo oggi.

sabato, maggio 10, 2008

Intermezzo isterico

Sgrunt.

Qualcuno mi spiega perché questo maledetto amor proprio / narcisismo / egocentrismo atomico che mi porto dietro dalla nascita, mi impedisce così tanto spesso di fare le cose nel modo migliore in assoluto, e mi spinge a fare le cose nel modo migliore per me?

Possibile che quando uno identifica un proprio difetto, un lato del carattere brutto, non sia quasi mai in grado di limarlo, di plasmarlo, di ridurlo ai minimi termini, di evolversi?

Davvero siamo così tanto immutabili? Ma per favore! Qualsiasi idiota è capace di dire "io sono così, punto e basta", ma questo significherebbe rinunciare in partenza alla possibilità di cambiare e migliorare.

Sono davvero stufa di sentirmi un'idiota qualsiasi, eppure il dato di fatto è che alla mia tenera età non vedo grandi margini di cambiamento.

lunedì, aprile 28, 2008

Brutta china all'orizzonte...

Oggi ho segnato la tacca delle undici ore di lavoro praticamente consecutive.
Me ne aspettano altre tre dopo cena (se va bene).
Domani, penso idem.
Mercoledì mattina, lavoro. Mercoledì pomeriggio, trasferta a Bologna, poi albergo, poi sveglia alle cinque del mattino, poi aereo, poi trasferta in Inghilterra.
Dormire come si deve, inizia a diventare pia illusione... -__-

sabato, aprile 26, 2008

Lezioncina da non dimenticare

E' ormai diverso tempo che ho appreso questa lezioncina, ma ora mi rendo conto che non l'ho mai appuntata sul blog, dove peraltro alcuni lettori potrebbero intuire il motivo di qualche mio cambiamento più o meno recente.

Allora...
Un po' di tempo fa, non specificherò quanto, mi sentivo alquanto insoddisfatta in un certo settore lavorativo. Avevo la sensazione (più o meno giustificata) di navigare a vista in un mare di approssimazione, improvvisazione, pressapochismo... insomma tutte cose che finivano per corrodere e far scadere anche gli aspetti positivi della situazione, che pure esistevano.
Ma ho tirato dritto senza esporre queste perplessità, ho pensato che margini di miglioramento ormai non ce ne fossero, ho ritenuto che fosse inutile affrontare la cosa.

Quando poi mi è stata offerta l'occasione di sfruttare un'alternativa, in un ambiente simile ma decisamente più organizzato sotto il profilo delle cose che "di là" mi infastidivano, ho preso l'occasione al volo. Professionalmente è stata una scelta che tuttora non rimpiango se non in minima parte, personalmente invece ho constatato che la mia scelta ha causato dispiacere a una persona (in realtà a diverse, ma per vari motivi una in particolare era quella più colpita).
La quale persona, posta di fronte alla mia scelta, non ha ritenuto opportuno espormi le sue perplessità e il fatto di essere stata almeno in parte ferita da me.

Risultato: ci sono voluti mesi perché io mi rendessi conto, annusando qui e là, che il mio operato non era stato preso bene. E mentre io me ne accorgevo e cercavo di capire se e dove avevo sbagliato, succedevano altre cose parecchio brutte, del tutto indipendenti da me, che però in circostanze diverse mi avrebbero vista in prima linea a reagire e a dare una mano (se possibile) a chi da queste cose brutte veniva ferito. Invece, non sapevo e non agivo.

E tutto questo perché?
Perché quando io ero insoddisfatta e pensierosa, non l'ho detto alla persona di cui sopra.
E quando la persona di cui sopra è rimasta dispiaciuta dalle mie azioni, non me lo ha detto.

La lezione, quindi, è semplice: mai tacere.

Se davvero si parla di persone che tengono le une alle altre, mai tenersi le cose dentro.
Quando si provano sensazioni importanti e persistenti, nel bene e nel male, sempre tirarle fuori. Se sono sensazioni belle (affetto, speranza, fiducia...), fa sempre bene sentirsele riportare. Se sono sensazioni brutte (insoddisfazione, dubbio, dispiacere), significa che c'è un problema e quindi bisogna almeno tentare di risolverlo. Altrimenti prima o poi i nodi vengono al pettine nel modo peggiore.

C'è un rovescio della medaglia?
Parziale. E' il concetto di "non te ne faccio più passare una".
E' un eccesso? Forse. Le punte hanno bisogno di tempo per essere smussate, e le lezioni hanno bisogno di esperienza per essere apprese e messe in pratica senza trasformarle in ciechi comandamenti.
Ma il punto di partenza, sono veramente convinta che sia giusto.
Mai tacere.

Mica facile

Una volta, tanto tanto tempo fa, l'idea di scrivere storie e magari sceneggiare fumetti non mi dispiaceva. Anzi, avevo pure cominciato... a scrivere storie, dico. E avevo iniziato a imparare qualcosina sull'arte della sceneggiatura. Anzi, di più: avevo iniziato a imparare dal più bravo sceneggiatore del mondo.

Poi, ormai più di dieci anni fa è successo qualcosa, e tutto è cambiato. Fine dell'ispirazione, fine del gusto per lo scrivere, fine dell'afflato creativo: perché va bene che spesso nella scrittura c'è tanto tanto tanto mestiere e poco poco poco sentimento, ma almeno quel poco bisogna pure che ci sia.

Insomma, un blocco. Il classico, maledetto blocco. La sensazione che nulla valga la pena. O che, al contrario, pochissime cose valgano la pena, ma poi la valgono talmente tanto (perché sono cose intense, enormi, importanti) che non sarei mai in grado di tirarle fuori in modo da rendere loro giustizia. Scriverei una certa frase, e chi legge ne capirebbe un'altra.
La sensazione persistente che non possa funzionare, che non servirebbe. E non dico che non servirebbe agli altri, ma proprio non servirebbe a me stessa: perché, quando anni e anni fa scrivevo, mica lo facevo sperando di pubblicare: mi mettevo semplicemente davanti al PC e partivo per la tangente e mi appassionavo, mi divertivo, passavo del tempo in un modo che mi piaceva. Non mi serviva altro.

Il blocco ha iniziato a sgretolarsi leggermeeeeente e lentameeeeente due o tre anni fa. E' fatto di una specie di cemento armato che si disgrega a spizzichi, a momenti, alla boia d'un giuda. Quando gli pare a lui. E con altrettanta imprevedibilità si ricostruisce i pezzetti che cadono. D'accordo, facendo una media posso dire che è più la materia che si sgretola, rispetto a quella che si ricostruisce, quindi a lungo andare dovrei recuperare la capacità di stare davanti al PC a divertirmi. Anzi, in parte l'ho già fatto buttando giù le minisceneggiature di alcune strisce umoristiche sui musical, per un progettino che però devo rimettere in piedi (fino all'anno scorso, né io né la persona che pensava ai disegni eravamo in grado di conciliare questa cosa con gli altri impegni di lavoro... poi con tutto il trambusto dovuto alla malattia e alla morte di mio padre, figuriamoci se ci sono tornata sopra).

Qualche mese fa, un bel pezzo di mattone è caduto tutto in una volta. Un'amica mi aveva chiesto se avrei potuto scrivere un breve quadro teatrale, su un determinato tema, perché voleva mettere in piedi un nuovo spettacolo di prosa con la sua compagnia amatoriale. Eravamo a cena fuori, sono tornata a casa verso mezzanotte. Mi sono piazzata al PC per appuntarmi due o tre cose che erano venute fuori nella nostra conversazione... e alle tre e mezza ero ancora lì, a scrivere come una forsennata, perché mi era già venuta l'idea, quell'idea che cercavo, proprio quella che secondo me si adattava alla richiesta dell'amica.
Poi il suo progetto teatrale è andato a monte per ragioni sue, ma io intanto avevo passato tre ore e mezza a scrivere di getto, di passione, di viscere. Non mi sentivo così bene da tanto di quel tempo. Non mi interessa se quel canovaccio sia venuto bene o male, non è quello il punto, anzi è senz'altro una cosa modesta. Ma intanto l'ho scritto, non è rimasto un'accozzaglia di appunti, l'ho proprio scritto. Per davvero!

Ora i mesi passano e io ogni tanto sento quel pizzicore in fondo allo stomaco, sento il baluginare di un'ideuzza, un leggero fremito alla punta delle dita. So di cosa vorrei raccontare, so che vorrei mettere in piedi un contesto di fantasia nel quale riversare pensieri e sensazioni fin troppo reali, so che vorrei recuperare un immaginario che mi appartiene da sempre e che di anno in anno muta e si trasforma, però senza mai abbandonare il suo nucleo originale.

I punti saldi quali sono?
Intanto vorrei una storia che parli prevalentemente di donne. Le vere protagoniste sarebbero tutte femminili. Certo, circondate da uomini, interagenti con uomini, amanti di uomini... ma la storia vera sarebbe la loro (e in un altro post spiegherò come mai).
Poi vorrei che ci fosse dell'azione. Azione epica, gloriosa, eroica. Quella che nel mondo vero non si trova quasi più da nessuna parte.
E poi vorrei storie che ruotassero intorno ai soli sentimenti per cui valga la pena stare al mondo, storie di fiducia anzi fedeltà, ma anche tradimenti e perdono, ma anche mera sopravvivenza e tutto cambia niente resta uguale, e prima parti prima torni, e amici diversi sono buoni in momenti diversi, storie di sentimenti a volte pragmatici e meschini, ma talmente umani da essere gloriosi a modo loro, storie di persone che sanno cosa vogliono e come, ma anche di persone che si dibattono nell'ansia e nel dubbio, la storia di chi non trova un senso alla propria vita e implora di poter almeno dare un senso alla propria morte...

Bè, come dire, sono di poche pretese.
Ma forse, un giorno, chissà.

giovedì, aprile 24, 2008

Il gioco delle parti

Negli ultimi... uhm... sei mesi circa, per ben QUATTRO volte dicansi QUATTRO, mi è capitato di andare a fare shopping.
Una volta in centro nella città dove abito, un paio di volte a Bologna, la quarta ieri a Lucca.

Adesso, sia chiaro, io DETESTO fare shopping PER ME. Mi annoio a morte. Non sopporto l'idea di perdere più di cinque minuti in un negozio di abbigliamento (cinque minuti? cin-que-mi-nu-ti?!? ma scherziamo? ma io c'ho da fare!!!) e digerisco a fatica l'idea che, se proprio mi servono un paio di jeans da mettermi addosso, è ragionevole provarli per evitare di fare un acquisto sbagliato. Fare le prove dei vestiti per me è quella cosa che mi fa perdere minuti e minuti di vita per un obiettivo che mi interessa quanto mi interessano le omelie papali la domenica.
Sì, d'accordo, si salvano quei rari casi in cui vedo una maglietta con un bel disegno che mi folgora (spesso pacchiano, truzzo e tamarro), mi si accendono gli occhi e penso "MIA!". Ma sono eccezioni.

Però ho scoperto che mi diverte andare a fare shopping con gli altri e godermi il loro divertimento. In particolare, lo strano soggetto che ho accompagnato di recente in giro per negozi ha un talento naturale per scovare abitini, vestitini, toppettini e tanti altri "ini", che se li mettessi io mi sentirei (e sembrerei) la Strega Bacheca, ma su di lei, vuoi per abitudine, vuoi per stile, vuoi per forma fisica, ammetto che funzionano una meraviglia (fermo restando che i vestitini per me restano una roba odiosa, scomoda, inutile e - la cosa in assoluto più detestabile - che ti costringe a portarti dietro una borsetta).

Risultato, mi ritrovo non solo a fare la voce della coscienza in termini economici, ma pure a fornire opinioni, e a volte perfino ci azzecco.
"Questo è troppo corto".
"Questo assomiglia a uno che hai già".
"Uhm... ti fascia un po' troppo i fianchi."
"Questo è troppo leggero per una freddolosa come te."
"Questo ti sta una meraviglia."
"Trasparente? Ma quale trasparente? Sei paranoica!"
"Questo non azzardarti a prenderlo, è troppo caro".

Credo perfino di aver sfornato un "Ma poi con che scarpe lo metti?", che detto da me è miracoloso quanto lo sarebbe per un matematico risolvere il Teorema di Fermat con il pallottoliere.

Resta divertente questa specie di gioco di ruolo che scatena sguardi di perplessità nelle commesse. Io sembro una specie di scaricatore di porto in visita a un museo d'arte contemporanea, con l'occhio a metà fra lo sprezzante e il superiore. Lei tutta moine e sorrisini, evidentemente preda di un delirante scompenso ormonale che causa shopping ossessivo-compulsivo, fruga disinvoltamente fra scaffali e attaccapanni come fosse roba sua.
"Provo questo, questo e anche questo, poi magari quello e possibilmente quell'altro".

Dal momento in cui il camerino viene colonizzato, a volte tocca a me fare la spola tra lei e la commessa. "Questo lo prende, questo no perché le ingrossa il sedere, di questo serve una taglia in meno, questo se ci fosse di un'altra fantasia..."
Le commesse non hanno mai ben chiaro se stanno parlando con un'amica, una segretaria, una guardia del corpo, una parente... c'hanno un po' l'occhio vitreo, che torna normale quando lei esce dal camerino per guardarsi meglio allo specchio. Allora si rasserenano, si tranquillizzano: hanno nuovamente davanti un soggetto canonico con cui possono parlare la stessa lingua, un prototipo collaudato di acquirente, uno standard riconosciuto di cliente divertita e vanitosa da intortare, un essere umano con cui sono in grado di instaurare una conversazione adatta al contesto.

Il massimo che riescono a ottenere da me è una cosa del genere:
"Questo no, è un po' troppo corto".
"Ma come, arriva appena al ginocchio..."
"Lei se lo vede corto".
"Forse con una taglia in più potrebbe..."
"E'. Troppo. Corto."
Sguardi feroci. Le poverine non si rendono conto che sto solo alleviando le loro sofferenze, perché se lei si mette in testa che è troppo corto (o peggio, il cielo non voglia, che le fa il culo grosso), possono star tranquille che non hanno speranza di venderglielo. Ma le buone azioni non sempre vengono premiate.

Devo darle atto che ha gusto (sempre per quel niente che ne capisco). L'ultima volta a Bologna ha comprato un abito che, se lo indossa in una certa occasione formale e di lavoro che dico io, possiamo considerare la serata ben riuscita fin d'ora.

Comunque, alla fine di queste trasferte perditempo ci ritroviamo a girare per la città cariche di pacchetti e pacchettini (tutti suoi), esibendoci in dialoghi come:
"Quello viola era bellissimo, vero?"
"Nah... costava un casino."
"Che c'entra, io dicevo solo che era bello. Magari più tardi ripassiamo da lì."
"Non vorrai tornare a prenderlo! Non te lo puoi permettere, costava un pozzo di soldi!!!"
"Eeeh, però se li meritava tutti."
"Maddeché? Ti faceva due fianchi come le Dolomiti!"
"Non è vero!"
"Ma certo che non è vero, scema."
"Eh?"
"Almeno, se ti dico così non lo compri."
"Vaffanculo."

Alla fine, come tante cose nella vita, è un gioco delle parti.
Tipo, che ne so...
Lei, Pretty Woman.
Io, Gegia.

sabato, aprile 19, 2008

Grandi soddisfazioni con antiche radici

Ieri, nel corso di un viaggio di lavoro, ho avuto occasione di incontrare e rivedere, dopo parecchio tempo, un amico che in passato, per un breve periodo, lavorò con me. Faceva parte di una squadra di ragazzi (ora non più sbarbini, eh no, il tempo passa anche per noi) che avevo messo insieme in una situazione abbastanza disperata, ma che avevo dovuto in qualche modo affrontare. Ovvero: prendere le redini di una rivista che era stata abbandonata dal suo direttore editoriale, per una serie di vicende che ovviamente vedevano torti e ragioni sia da parte sua che da parte dell'editore. Comunque fosse, a me era toccato il compito di rimettere in piedi questa rivista... diciamo pure un compito impossibile, dato il periodo e data l'inesperienza. Ma bisognava comunque provare.
Il risultato non mi hai mai soddisfatta in termini di durata: appena una decina di numeri... però mi ha lasciato enormi soddisfazioni in termini di lavoro di squadra. Molte delle persone che avevo coinvolto a suo tempo (vuoi perché le conoscevo di persona, vuoi perché erano conoscenti di conscenti) erano all'epoca studenti, o neolaureati, o semplici appassionati, tutti desiderosi di cimentarsi nella stesura di articoli o recensioni. Gente sveglia, attenta, curiosa, che si trovava sparsa per diverse città ma era contenta di avere questa cosa in comune e aveva palesemente una marcia in più.

Adesso, uno di loro è ricercatore universitario e sforna in continuazione libri (belli!) sui cartoni animati e i fumetti.
Un altro è un apprezzato sceneggiatore di cartoni animati, che ha lavorato anche per produzioni importanti.
Un altro è traduttore e adattatore di fumetti e serie animate giapponesi.
Un altro ha fondato un service di prodotti per l'editoria e gli audiovisivi, e si sta affermando come esperto di cinema d'animazione.
Un altro l'ho un po' perso di vista, ma so che ha scritto almeno un buon libro sul fumetto giapponese.
E un altro è appunto quello che ho incontrato ieri, nella sua veste di direttore di un nuovo festival di cinema d'animazione.

Non sono orgoliosa di tutte le mie esperienze lavorative passate. E quell'esperienza in particolare, è sempre stata molto controversa e pesante da molti punti di vista. Ma della squadra che avevo selezionato e che aveva lavorato insieme a me per quella rivista, sono (e sono sempre stata) molto fiera. Certo nessuno di loro è più lo sbarbino di allora, alcuni di loro non sono poi tanto distanti da me in termini di età, e parecchi di loro mi hanno sopravanzata in termini di carriera. Ma in fondo, almeno in parte non smetterò mai di considerarli "i miei ragazzi". :-)

giovedì, aprile 03, 2008

Ed è arrivata pure Suzumiya...

Poco ma sicuro, a volte il mio lavoro mi porta ad avere a che fare con piccole (ma divertenti) follie.