mercoledì, gennaio 07, 2009

Di mamme ce n'è una sola, grazie al cielo

Per combinazione, mi trovo a scrivere le prime righe di questo post mentre ascolto la colonna sonora di Chess (quella originale con Judy Kuhn) e in particolare il brano "Someone Else's Story", in cui la voce narrante racconta una serie di cose che riguardano palesemente se stessa, ma sempre parlandone in terza persona come se avessero a che fare con qualcun altro; solo nell'ultima riga ammette finalmente "the problem is that girl is me".

Dico che è una curiosa combinazione perché questo è il mio secondo post sul "fenomeno gravidanza" (il primo è qui) e perfino adesso che siamo al sesto mese inoltrato, a volte fa ancora capolino la sensazione che la diretta interessata non sia io ma, che so, un mio clone su un altro pianeta o qualcosa del genere. Diverse volte nell'arco della giornata mi "sveglio" improvvisamente da qualsiasi cosa stia facendo (lavoro, faccende, lettura...) e mi ritrovo a dirmi "oddio sono incinta!!!" sgranando gli occhi, come se fosse sempre una novità.

Mah. Misteri della psiche. Oppure "paturnie del tuo cervello bacato", come direbbe mia madre. E proprio la nonna della nascitura ha dato il meglio di sé nel mitico D-Day... ovvero il giorno dell'amniocentesi. Che detto così non ispira niente di particolarmente originale o divertente, ma per noi è stata un'impresa tipo attraversare l'oceano in barca a vela.

Ordunque, il fatidico giorno è stato il 3 novembre, data praticamente obbligata perché, visto lo spudorato ritardo con cui 'sta benedetta gravidanza è venuta fuori, e vista la necessità di fare l'amniocentesi entro un determinato momento, non è che fossero rimasti tanti buchi liberi nella lista d'attesa dell'ospedale.
Decido che è il caso di non andarci da sola perché, dopo essermi sentita ripetere a sfinimento che l'esame comporta una piccola percentuale di rischio per il feto, e che dopo l'esame avrei dovuto stare a riposo totale - drastico - assoluto per almeno 24 ore, mi viene da pensare che potrei farmi accompagnare, così da non dover nemmeno guidare per tornare a casa. E avendo in precedenza deciso che le 24 ore di super-riposo le avrei trascorse a casa di mia madre (in modo da non essere sola nel seppur remotissimo caso di complicazioni post-esame), va da sé che la candidata più ovvia per l'operazione accompagnamento era appunto la suddetta madre . Così, la mattina lei mi passa a prendere a casa, imbarchiamo in macchina il mio zainetto con pigiama e spazzolino (più ovviamente il portatile, perché a stare 24 ore ferma in un letto senza nemmeno poter lavorare divento idrofoba), e ci dirigiamo verso l'ospedale. Lei tutta tronfia di essere stata deputata a questo ruolo, io terrorizzata per due motivi: primo, l'amniocentesi stessa, e secondo, la guida di mia madre (che è fin troppo arzilla e si porta benissimo i suoi 74 anni, tranne che al volante).

Ci piazziamo in sala d'aspetto e attendiamo finché non mi chiamano. Entro nell'ambulatorio, mi fanno un po' di domande su gruppo sanguigno e altri dettagli vari, mi fanno firmare non so quante liberatorie e finalmente mi fanno piazzare sul lettino, a pancia scoperta. Da lì, è tutto un susseguirsi di cotone, disinfettante e copertine di tela verde (con effetto molto E.R.) che mi mettono addosso una dietro l'altra, finché ecco apparire, nelle mani del medico, l'oggetto più temuto di tutta la giornata: la siringa da amniocentesi. Che in realtà è fatta come una normalissima siringa se non fosse per l'ago, lungo quanto una matita... ma nei miei ricordi deliranti, ha più o meno questo aspetto:


[Inciso 1: la foto l'ho trovata su un sito di attrezzature ippiche...]

Dottore e infermiera partono con l'ecografia di monitoraggio. Le condizioni di base ci sono tutte, quindi si procede a inserire l'ago.
«Le assicuro che non si sente quasi niente», aveva detto l'altro dottore all'incontro di preparazione, «è come fare un'iniezione qualsiasi, tipo un vaccino». Verissimo, peccato però che un vaccino duri tre o quattro secondi, mentre qui per spedire l'ago bene fino in fondo e fargli superare i vari strati (tra cui, ehm, lo strato adiposo che nel mio caso non è trascurabile), di tempo ce ne mettono, e ovviamente quando uno è lì sotto, sembra che non finisca mai.
Sempre il dottore dell'incontro preliminare: «Se a un certo punto sente come una specie di scossa non si preoccupi, è una contrazione dell'utero che reagisce al foro». Non la definirei esattamente una scossa, diciamo pure il morso isterico di un chihuahua a pieni canini, ma capisco che per un medico non sarebbe appropriato usare un simile termine di paragone.
Ad ogni modo resto lì più immobile che posso (l'infermiera: «Signora, guardi che può respirare, sa?») e attendo stoicamente che il tutto sia finito. Dopo un po' arriviamo all'estrazione dell'ago, con altre cinquecento passate di cotone e disinfettante, via tutte le copertine verdi, e finalmente mi fanno uscire dall'ambulatorio, con l'ordine di rimanere in sala d'aspetto una mezz'ora, dopodiché sarei stata richiamata dentro per un ulteriore controllo ecografico (insomma prima di mandare via la gente vogliono essere sicuri di non aver causato nessun danno).

Quindi mi ri-piazzo in sala d'aspetto, racconto a grandi linee l'accaduto a mia madre (che è curiosa come una bertuccia perché per lei tutte queste cose sono fantascienza), e trovo pure la voglia di dare un colpo di telefono a mia suocera per una verifica sul gruppo sanguigno del Ghigo, che a memoria non mi ricordavo e il dottore mi aveva chiesto. Insomma, lì per lì tutto bene.
Poi iniziano i dolorini in corrispondenza dell'iniezione, inizia un senso generale di malessere e mi sento accaldata.
Mia madre: «Che hai? Non ti sentirai mica male adesso?!?»
Io: «Boh, mi sento un po' rincretinita, ma niente di grave, me ne sto qui buona buona...»
Lei: «Ti devo chiamare l'infermiera?»
Io: «No, no, ma figuriamoci, cosa la chiami a fare, non ho niente.»
Tempo cinque secondi, inizia a girarmi la testa e mi sento le orecchie che si tappano, classici sintomi di svenimento in arrivo.
«Mamma?»
«Eh.»
«Chiamami un po' l'infermiera, va'...»
Lei schizza via come una lucertola, mentre io bofonchio «Non correre, mamma, non sto morendo», e in capo a due secondi mi rimedia un'infermiera che prima mi ribalta di novanta gradi in modo da sdraiarmi sulle sedie della sala d'aspetto, poi mi tira su le gambe e aspetta che la mia faccia riassuma un'espressione coerente. In realtà allo svenimento completo non ci arrivo, appunto perché l'infermiera mi ribalta in tempo... e quindi sento perfettamente l'amabile genitrice confidare all'infermiera e a tutti i presenti della sala d'aspetto:
«Eh, cosa vuole, fa sempre così, lì per lì regge benissimo e poi molla di colpo!»
Terra inghiottimi, terra inghiottimi, terra inghiottimi...
«Mamma, ti prego!!!» °___°

[Inciso 2: «fa sempre così» si riferisce ad un'unica altra occasione in cui, dopo essere uscita da un ambulatorio dove mi avevano bruciato una verruca su una mano con l'azoto liquido, mi sono sentita male. Avrò avuto undici anni, tanto per capire con quale spropositata frequenza sono soggetta a tali fenomeni. Altre volte sono svenuta per dei cali di pressione o perché mi sono fatta male, tipo tagliandomi un dito con un coltello da cucina, ma anche qui parliamo di occasioni abbastanza rare.]

Probabilmente spronata dall'attacco di vergogna, in capo a pochi secondi mi riprendo e mi dichiaro pronta a rialzarmi, ma l'infermiera no, per sicurezza mi piazza supina su una barella e mi scarrozza (con mia madre che ci trotta dietro tipo Lassie) in una saletta poco lontana, dove ci lascia parcheggiate «il tempo necessario a essere certa che non ci siano problemi».

Il tutto accade intorno alle dieci. Passata l'una, siamo ancora lì in attesa a fare chiacchiere e inizia a venirci il dubbio di essere state dimenticate.
«Accidenti, mamma, che gran perdita di tempo... e c'ho pure una fame...»
Lei si avventa fuori dalla saletta e si piazza in agguato sulla soglia finché, combinazione, vede passare proprio la "mia" infermiera.
«Scusi, signora, mi sa dire quanto tempo manca ancora? Perchè sa, mia figlia ha fame!»
«MAAAAMMAAAAAA...!!!!!!» >___<
«Che c'è? Me l'hai detto tu che hai fame!»
«Sì... cioè... però non... insomma...!»
L'infermiera ride sotto i baffi, replica "ah guardi, signora, anche io non vedo l'ora di avere finito e di andare a casa a mangiare", e dopo una decina di minuti mi chiama dentro per il controllo, che ringraziando il cielo va liscio come l'olio (compresa un'altra siringata da cavallo di immuno-non-so-cosa dovuta alla differenza di fattore RH tra me e il Ghigo).
Mi riempiono nuovamente di raccomandazioni («Stia calma e tranquilla, riposo assoluto, nessuno sforzo di nessun tipo, tantomeno in zona addominale», ecc ecc) e finalmente, verso l'una e mezza, usciamo dall'edificio dell'ospedale e ci avviamo all'uscita dal cortile... dove, prima che io me ne renda conto, mia madre inforca il tornello dal verso sbagliato proprio mentre io lo sto attraversando, e me lo fa arrivare di schianto dritto sulla pancia.
«Maaammaaaaaaa...» *___*
«Che c'è?»
«No, niente... lascia stare...»
«Umf. Ma che ha 'sto coso, che non gira?»
«Di qua, mamma, da questa parte, in senso orario...»
«Ah ecco, mi pareva.»

Ultimo atto, lungo la strada passiamo a casa di mia sorella, che doveva allungarmi un libro. Io resto in macchina buona buona, mentre mia madre va a citofonare. Mia sorella scende col libro e, alla domanda «Allora com'è andata? Ci avete messo un sacco di tempo!», qual è la risposta di mia madre, con tanto di tono scocciato?
«Per forza, quell'oca di tua sorella ha pensato bene di mettersi a svenire!»

2 commenti:

Francesco Moretti ha detto...

Vale, ma hai mai pensato di fare l'autrice televisiva o scrivere un libro "alla Litizzetto"? Il tuo talento narrativo-umoristico è imbattibile!

Swan ha detto...

Eh, Franz, temo che serva una professionalità ben maggior per affrontare la vera scrittura umoristica... gente come la Littizzetto saprebbe farti ridere anche recitando la lista della spesa, io mi limito a raccontare episodi di vario genere sdrammatizzandoli un po'! ^_^