giovedì, aprile 24, 2008

Il gioco delle parti

Negli ultimi... uhm... sei mesi circa, per ben QUATTRO volte dicansi QUATTRO, mi è capitato di andare a fare shopping.
Una volta in centro nella città dove abito, un paio di volte a Bologna, la quarta ieri a Lucca.

Adesso, sia chiaro, io DETESTO fare shopping PER ME. Mi annoio a morte. Non sopporto l'idea di perdere più di cinque minuti in un negozio di abbigliamento (cinque minuti? cin-que-mi-nu-ti?!? ma scherziamo? ma io c'ho da fare!!!) e digerisco a fatica l'idea che, se proprio mi servono un paio di jeans da mettermi addosso, è ragionevole provarli per evitare di fare un acquisto sbagliato. Fare le prove dei vestiti per me è quella cosa che mi fa perdere minuti e minuti di vita per un obiettivo che mi interessa quanto mi interessano le omelie papali la domenica.
Sì, d'accordo, si salvano quei rari casi in cui vedo una maglietta con un bel disegno che mi folgora (spesso pacchiano, truzzo e tamarro), mi si accendono gli occhi e penso "MIA!". Ma sono eccezioni.

Però ho scoperto che mi diverte andare a fare shopping con gli altri e godermi il loro divertimento. In particolare, lo strano soggetto che ho accompagnato di recente in giro per negozi ha un talento naturale per scovare abitini, vestitini, toppettini e tanti altri "ini", che se li mettessi io mi sentirei (e sembrerei) la Strega Bacheca, ma su di lei, vuoi per abitudine, vuoi per stile, vuoi per forma fisica, ammetto che funzionano una meraviglia (fermo restando che i vestitini per me restano una roba odiosa, scomoda, inutile e - la cosa in assoluto più detestabile - che ti costringe a portarti dietro una borsetta).

Risultato, mi ritrovo non solo a fare la voce della coscienza in termini economici, ma pure a fornire opinioni, e a volte perfino ci azzecco.
"Questo è troppo corto".
"Questo assomiglia a uno che hai già".
"Uhm... ti fascia un po' troppo i fianchi."
"Questo è troppo leggero per una freddolosa come te."
"Questo ti sta una meraviglia."
"Trasparente? Ma quale trasparente? Sei paranoica!"
"Questo non azzardarti a prenderlo, è troppo caro".

Credo perfino di aver sfornato un "Ma poi con che scarpe lo metti?", che detto da me è miracoloso quanto lo sarebbe per un matematico risolvere il Teorema di Fermat con il pallottoliere.

Resta divertente questa specie di gioco di ruolo che scatena sguardi di perplessità nelle commesse. Io sembro una specie di scaricatore di porto in visita a un museo d'arte contemporanea, con l'occhio a metà fra lo sprezzante e il superiore. Lei tutta moine e sorrisini, evidentemente preda di un delirante scompenso ormonale che causa shopping ossessivo-compulsivo, fruga disinvoltamente fra scaffali e attaccapanni come fosse roba sua.
"Provo questo, questo e anche questo, poi magari quello e possibilmente quell'altro".

Dal momento in cui il camerino viene colonizzato, a volte tocca a me fare la spola tra lei e la commessa. "Questo lo prende, questo no perché le ingrossa il sedere, di questo serve una taglia in meno, questo se ci fosse di un'altra fantasia..."
Le commesse non hanno mai ben chiaro se stanno parlando con un'amica, una segretaria, una guardia del corpo, una parente... c'hanno un po' l'occhio vitreo, che torna normale quando lei esce dal camerino per guardarsi meglio allo specchio. Allora si rasserenano, si tranquillizzano: hanno nuovamente davanti un soggetto canonico con cui possono parlare la stessa lingua, un prototipo collaudato di acquirente, uno standard riconosciuto di cliente divertita e vanitosa da intortare, un essere umano con cui sono in grado di instaurare una conversazione adatta al contesto.

Il massimo che riescono a ottenere da me è una cosa del genere:
"Questo no, è un po' troppo corto".
"Ma come, arriva appena al ginocchio..."
"Lei se lo vede corto".
"Forse con una taglia in più potrebbe..."
"E'. Troppo. Corto."
Sguardi feroci. Le poverine non si rendono conto che sto solo alleviando le loro sofferenze, perché se lei si mette in testa che è troppo corto (o peggio, il cielo non voglia, che le fa il culo grosso), possono star tranquille che non hanno speranza di venderglielo. Ma le buone azioni non sempre vengono premiate.

Devo darle atto che ha gusto (sempre per quel niente che ne capisco). L'ultima volta a Bologna ha comprato un abito che, se lo indossa in una certa occasione formale e di lavoro che dico io, possiamo considerare la serata ben riuscita fin d'ora.

Comunque, alla fine di queste trasferte perditempo ci ritroviamo a girare per la città cariche di pacchetti e pacchettini (tutti suoi), esibendoci in dialoghi come:
"Quello viola era bellissimo, vero?"
"Nah... costava un casino."
"Che c'entra, io dicevo solo che era bello. Magari più tardi ripassiamo da lì."
"Non vorrai tornare a prenderlo! Non te lo puoi permettere, costava un pozzo di soldi!!!"
"Eeeh, però se li meritava tutti."
"Maddeché? Ti faceva due fianchi come le Dolomiti!"
"Non è vero!"
"Ma certo che non è vero, scema."
"Eh?"
"Almeno, se ti dico così non lo compri."
"Vaffanculo."

Alla fine, come tante cose nella vita, è un gioco delle parti.
Tipo, che ne so...
Lei, Pretty Woman.
Io, Gegia.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Vedo già il prossimo titolo del romanzo della Kinsella: "I love shopping with...Swan"! ^__^ Cosa darei per vederti in azione!!

Swan ha detto...

Pure "I love shopping with Gegia", non suona mica male!
Comunque guarda, la prossima volta che devi fare spese avvisami che faccio un salto... così mi vedi in azione. ;-)

Unknown ha detto...

Forse anche io dovrei venire a fare compere con te... Sembra davvero divertente!
*.*
LOL!

Swan ha detto...

Manu-cucciola! Che bello sentirti... cioè leggerti! Fare compere insieme, tu ed io? Chissà! l'unico problema è la tua insana e allucinogena passione per il rosa. Non sono certa che sopravviverei... ;-)