E' la seconda volta in pochi mesi che mi capita di regalare questo libro, e così mi è anche capitato di rileggerlo.
Come ogni volta, ne assaporo qualche parola o qualche frase in più, oltre a ri-assaporare le parti che già so a memoria, ed oltre a godermi sempre più il meccanismo di un libro che rivela il suo senso e il suo messaggio solo con l'ultima parola dell'ultima pagina, quella che ti fa ritrovare l'amico del titolo, ma te lo fa anche nuovamente perdere. Tutto in poche sillabe, tutto in un singolo scatto del cervello che ti fa ripercorrere a ritroso le pagine precedenti e dare loro un significato nuovo.
Novantadue pagine, 5 euro, praticamente nulla, ma in quel nulla c'è tanta roba. Tra cui questo capoverso:
I giovani tra i sedici e i diciotto anni uniscono in sé un'innocenza soffusa di ingenuità, una radiosa purezza di corpo e di spirito e il bisogno appassionato di una devozione totale e disinteressata. Si tratta di una fase di breve durata che, tuttavia, per la sua stessa intensità e unicità, costituisce una delle esperienze più preziose della vita.
Mi vergogno un po' ad ammettere che questa "fase" io non l'ho ancora superata. In fondo, quando uno non ha certezze sui Grandi Temi Della Vita, non ha fedi incrollabili, non ha ideologie di riferimento, che cosa rimane se non il desiderio, anzi la necessità viscerale, di qualcosa che faccia la differenza? E che cosa può fare la differenza meglio del dedicarsi a qualcuno o qualcosa, meglio di un'assunzione di responsabilità che vada oltre l'innamoramento o il sentimento, ma diventi una decisione consapevole, una solenne promessa e un intimo motivo di orgoglio?
C'è anche un altro passaggio che mi tocca dentro, quello dove si racconta dell'inizio dell'amicizia fra Hans (il narratore in prima persona) e Konradin.
Con un gesto stranamente goffo ed impreciso, mi strinse la mano tremante. "Ciao, Hans", mi disse e io all'improvviso mi resi conto con un misto di gioia, sollievo e stupore che era timido come me e, come me, bisognoso di amicizia. Non ricordo più ciò che mi disse quel giorno, né quello che gli dissi io. Tutto ciò che so è che, per un'ora, camminammo avanti e indietro come due giovani innamorati, ancora nervosi, ancora intimiditi. E tuttavia io sentivo che quello era solo l'inizio e che da allora in poi la mia vita non sarebbe più stata vuote e triste, ma ricca e piena di speranza per entrambi.
Io ce l'ho ho avuta, un'amica di questo genere... diciamo l'equivalente di un Konradin, nella mia vita, proprio quando ero adolescente. E di certo non esiste età in cui i sentimenti si provano in maniera più profonda e viscerale. Mi rendo conto adesso che di questa persona parlo pochissimo, forse perchè i ricordi sono sempre più lontani nel tempo e ho sempre meno occasioni di tirarli fuori. Ci sono tante persone, fra le mie amicizie più recenti, che non mi hanno mai sentito fare il suo nome. Persone che se entrassero nella mia camera da letto e vedessero quella fotografia appoggiata in un angolo mi chiederebbero "chi è quella ragazza?", e io farei una gran fatica ad andare oltre un nome e una breve spiegazione. Eppure so che, prima di incontrarla e prima che lei facesse la prima mossa nella mia direzione, ero una persona diversa da quella che sono stata dopo. Non so dire se migliore o peggiore, ma di certo ero completamente un'altra persona.
Immagino ciò significhi che i miei amici di ora, mio marito, le persone a cui ora io piaccio, devono molto a questa ragazza di cui tanti fra loro non hanno neppure mai sentito parlare. E non mi spiego perchè ne parlo così poco. Forse perché, mentre nei libri ci si può permettere di essere un po' retorici o melodrammatici, nelle chiacchiere della vita reale mi sentirei esposta al ridicolo, se riuscissi a spiegare a parole cosa quel rapporto, quell'amicizia, significarono per me. Se riuscissi ad elaborare quanto e come lei mi cambiò. Se riuscissi a raccontare per davvero quella sensazione di assoluta reciprocità e... com'è che diceva, il primo passaggio che ho citato? "Devozione totale e disinteressata". Il genere di cosa che ho provato solo altre due volte in vita mia, ma ormai fuori dall'età dell'adolescenza, quella specie di lente che cambia l'intera percezione del mondo in una maniera mai più replicabile.
Spesso ho la tentazione di ritrovare quell'amica. L'ho già fatto un altro paio di volte, in passato, ma sono passati anni dall'ultima volta. So più o meno dove abita, so che cosa fa. Sarebbe bello rientrare nelle rispettive vite, sebbene a distanza (comunque, non una distanza incolmabile). Eppure sento una specie di timidezza che mi frena e mi impedisce di decidermi. Di certo la sicurezza che quella stagione è passata da anni, che nulla può essere ripetuto. Ma in fondo, ci possono essere altre infinite stagioni pronte per noi, che aspettano solo di sentirsi dare il via.
Che faccio, vado?
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