Un paio di post fa, avevo accennato che sabato 21 luglio mi era successa una cosa molto bella. Sono quasi passati due mesi e ancora non ho spiegato che cos'è, ho continuato a dimenticarmi di provvedere. Allora, la cosa bella è che ho vinto un premio... cioè, il mio libro (quello che per gli amici si intitola "Come e perché i supereroi si menano") ha vinto un premio, che io stessa più di dieci anni fa ho contribuito a fondare e di cui ho curato la segreteria per un sacco di tempo. Ma poi mi sono appunto ritrovata io stessa con un testo di saggistica in mano, e mi faceva piacere partecipare. Così, col dovuto anticipo, mi sono autoeliminata dalla segreteria del suddetto premio, lasciandolo completamente in mani altrui e senza volerne sapere più nulla nemmeno col lanternino. E con mio sommo gaudio, mi sono portata a casa il "trofeo", a pari merito con un altro autore. Qui non sto a dettagliare la cosa più di tanto, perché questo resta pur sempre un blog più personale, che professionale. I dettagli "ufficiali" sono sul sito internet del mio editore: beccateveli qui, con tanto di microintervista alla sottoscritta.
A farmi andare in brodo di giuggiole non è mica il premio in quanto tale, e infatti non è che lo abbia sbandierato ai quattro venti, la vivo come una cosa tutto sommato abbastanza intima (anche se c'è stata la premiazione ufficiale in pubblico, ecc). Però, c'è il fatto che quel libro è dedicato a qualcuno, e aver ricevuto questo riconoscimento è un modo per onorare ulteriormente questo qualcuno. Un modo per dire "tu sei dentro ogni singola riga di questo libro, e sei insieme a me in ogni mio passo". E scusate tanto, ma questo per me non è poco. Anzi, è semplicemente tutto.
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