Invece, arzillo sessantasettenne, quest'uomo se ne esce con
un film, Maggie (in italiano divenuto
Contagious - Epidemia mortale, santo
cielo...), che improvvisamente me lo fa apparire maturo, interessante,
sensibile, concentrato. Insomma: figo.
Ora, io non sono un'esperta di film sugli zombie. Non ho mai
visto le pietre miliari del genere, men che meno una singola puntata di The Walking Dead (lo so, è una
bestemmia, prima o poi riuscirò). Quando nei fumetti di supereroi c'è stata la
moda zombie, qualche anno fa, ho saltato a piè pari tutte le storie che ne
parlavano. Mi da persino fastidio che alcune siano state raccolte e ristampate
nei volumoni allegati alla Gazzetta.
Faccio fatica a guardare il videoclip di Thriller,
con tutto che Michael Jackson era un ballerino mica da ridere. Gli zombie mi
fanno schifo, punto.
Pur non essendo un'esperta, tuttavia, ci arrivo persino io a
capire che lo zombie non è un mostro qualsiasi, bensì una metafora, una
rappresentazione di qualcosa che spaventa l'essere umano, la regressione a uno
stato animale, la fine della civiltà umana, con tanto di cannibalismo.
Ecco, in Maggie la
metafora è un'altra. Si parla di malattia, di morte, della sua
ineluttabilità.
Riciclo qualche riga che ho scritto sull'account Facebook del
mio alter-ego Velma J. Starling: "Ieri sera ho visto questo film e non
riesco a levarmelo dalla testa. È un pugno nello stomaco, suscita paura e a
momenti ribrezzo. È una variazione straziante su un certo tipo di film di
genere (l'apocalisse zombie). È la presenza invasiva di una colonna sonora
terrorizzante e fastidiosa. È una telecamera mai perfettamente immobile, che ti
comunica un senso costante di incertezza e di apprensione. È una sceneggiatura
senza inutili infodump, rispettosa dello spettatore cui chiede la complicità
nel capire tutto senza dovergli spiegare troppo. È un nuovo, struggente
Schwarzenegger dopo tanti film picchiaduro. È il contesto delle zone rurali
degli Stati Uniti (per l'esattezza il Kansas), con le loro bellezze e i loro
limiti. È una gigantesca, aggressiva metafora del concetto di malattia in fase
terminale, con il percorso del malato, della famiglia, degli amici,
dell'ostinazione e della rassegnazione. E un finale meraviglioso che ti fa
scoppiare a piangere come un bambino."
Nota a margine: brava Abigail Breslin nel ruolo di Maggie,
ma ancor più brava Raeden Greer nel ruolo, pur marginale, della migliore amica
Allie. All'inizio ti fa credere di essere, come dire, un po' blonde - poi, invece, ti lascia vedere
quanto la situazione stia pesando anche su di lei.