Qualche mese fa, quando è morta Farrah Fawcett, ci sono rimasta molto male e ho scritto due righe anche qui sul blog. In quelle due righe, specificavo che il mio dispiacere era dovuto sostanzialmente alla perdita di un'icona della mia infanzia e giovinezza, ma non ho attribuito a Farrah qualità interpretative e artistiche superiori alla media o che so io. Ciascuno è libero di affezionarsi a chi gli pare, anche a sproposito, ma deve sapere (nei limiti del possibile) i motivi di tale affetto.
In questi giorni tutti piangono la morte di Mike Bongiorno, e questo lo capisco perché si trattava di una figura storica della televisione italiana. Capisco di meno la mitizzazione del personaggio, l'attribuirgli caratteristiche che difficilmente gli venivano concesse quando era in vita.
Quindi, da snob quale sono, mi concedo di citare queste righe da Wikipedia:
Agli inizi degli anni sessanta Umberto Eco gli dedica il celeberrimo saggio Fenomenologia di Mike Bongiorno, nella quale la tecnica comunicativa del conduttore viene analizzata dal noto scrittore in maniera accademica. Umberto Eco rintracciava le radici profonde del successo di questo personaggio nella sua "mediocrità assoluta" grazie alla quale «lo spettatore vede glorificato e insignito ufficialmente di autorità nazionale il ritratto dei propri limiti».
(inciso: il che è poi, aggiungo io, un modo di fare tv precursore dei reality show)
L'articolo di Eco è disponibile per intero qui. Ci si potrà trovare più o meno d'accordo con le tesi che espone, ma almeno sarà una via critica e onesta di guardare a una persona che non c'è più, rendendogli un servizio migliroe rispetto all'adagiarsi sul finto obbligo morale per cui dei morti si deve sempre e solo parlare bene.
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