Adesso vado dietro la lavagna e scrivo cento volte: "Smetterò di fare le cose più grosse di quello che sono, smetterò di fare le cose più grosse di quello che sono, smetterò di fare le cose più grosse di quello che sono..."
Cioè: almeno, tenterò.
Ieri ho rovesciato addosso un sacco di tensioni e preoccupazioni alla povera Tawerny la quale ha ascoltato pazientemente, offerto qualche parere, dato il tipo di conforto che lei sa dare (è che è molto). A fine serata, sempre la Tawerny guarda me e Purplecri e commenta energicamente: "oh, dai ragazze, ma che sono 'ste facce distrutte che avete?"
Purplecri risponde (più o meno): "E' perché noi siamo gente che lavora!"
E la Tawerny, provocando: "Perché io invece che faccio? Mi gratto?!?"
In effetti. E' vero che in questi giorni dormo poco e lavoro tanto. E' anche vero che il suddetto lavoro è pesante anche e soprattutto da un punto di vista emotivo, perché il mio rapporto con la Grande Capessa è molto stretto anche dal lato personale (lei è una specie di amica e sorella e a volte anche madre, tutto insieme). Ma lasciarmi piallare in questo modo, dovrei cercare di evitarlo. Forza! Ce la posso fare. Respirare a fondo, ricordare che è la vita che ho scelto, pensare che non devo timbrare cartellini, riflettere sulle grandi botte di culo che ho avuto. E' il mio lavoro, lo so che in questo periodo dell'anno va così, lo so che con la Capessa a volte è difficile, ma è la mia vita e mi sta bene così. Avanti!
La seconda lezioncina arriva proprio dalla Grande Capessa. Ho trascorso giorni a preoccuparmi e a perdere il sonno per un certo aspetto lavorativo che secondo me lei aveva trascurato, che ci avrebbe portato problemi, che poteva risolversi in un disastro. Ci avrei scommesso, che oggi sarebbe scoppiato questo casus belli e sarebbe successo il finimondo. E dentro di me non riuscivo a non essere da un lato arrabbiata con lei (perché, per sua stessa ammissione, aveva appunto trascurato la cosa quando era il momento di pensarci), e da un lato preoccupatissima (perché non sapevo come avrebbe potuto cavarsela, alla resa dei conti, né avevo idea di come avrei potuto aiutarla).
E invece?
Nessun casus belli, niente apocalisse. Alla fine, grazie a una veloce correzione in corso d'opera, tutto liscio come l'olio. Tutte le mie previsioni e inquietudini, sbagliate.
Nuova frase da scrivere cento volte dietro la lavagna: "Fidati della Grande Capessa, fidati della Grande Capessa, fidati della Grande Capessa.."
E questa è una lezione che ad anni alterni imparo e poi dimentico. Sarà una casinista, sarà la donna dai mille problemi, sarà la direttrice artistica che salva i file sbagliati nel posto sbagliato e corregge le cose che non deve correggere, sarà la persona che il giorno prima mi gratifica più di ogni altra e il giorno dopo con una parola può spezzarmi il cuore, ma sa il fatto suo, conosce il suo mestiere, alla fine cade sempre in piedi ed è sempre un passo avanti a me e agli altri.
Porcozzimbolo, ci sarà un motivo se comanda lei!
Mi basterebbe che riuscisse a gestire la sua vita privata con la stessa grinta ed energia con cui gestisce il lavoro, e invece si trascura e si tratta male su tanti, troppi aspetti. Chi le vuole bene cerca in ogni modo di "ricondurla sulla retta via", perché questa sua vita convulsa le fa del male, e di converso lo fa anche a noi altri. Nutre per me e per certe altre persone un affetto sconfinato, e mi scopro a pensare che per ciascuno di noi sarebbe pronta a morire.
Ma è pronta a vivere?
Questo è il blog di Valentina Semprini. Parla di fumetti, musical, vita privata e altro. Quindi contiene chiacchiere, segnalazioni, immagini, video, riflessioni, sfoghi, recensioni... insomma, è un blog: che vi aspettavate? :-)
sabato, giugno 23, 2007
martedì, giugno 19, 2007
24 ore non-stop (quasi)
Ieri (domenica) sera mi fa lavorare...
Stamattina mi fa partire la mattinata per una singola riunione...
Poi mi tira fuori un'informazione confidenziale in ritardo di appena un anno...
Oggi pomeriggio mi combina un casotto bestiale con la struttura di un palco...
Stasera mi fa di nuovo lavorare...
Praticamente 24 ore (eccettuati i pasti e qualche ora di sonno) al servizio della Capessa.
Ma confesso: in questi giorni sfibranti in cui tendo un po' a "perdermi", se non ci fosse lei a mettermi in riga sarei ben incasinata.
Quindi va bene così.
Stamattina mi fa partire la mattinata per una singola riunione...
Poi mi tira fuori un'informazione confidenziale in ritardo di appena un anno...
Oggi pomeriggio mi combina un casotto bestiale con la struttura di un palco...
Stasera mi fa di nuovo lavorare...
Praticamente 24 ore (eccettuati i pasti e qualche ora di sonno) al servizio della Capessa.
Ma confesso: in questi giorni sfibranti in cui tendo un po' a "perdermi", se non ci fosse lei a mettermi in riga sarei ben incasinata.
Quindi va bene così.
sabato, giugno 16, 2007
E venne il Re
Ho trascorso due giornate un po' pesantucce in Val Trebbia (dintorni di Piacenza), dove ha le sue origini il ramo materno della mia famiglia, e dove pertanto si è svolto il funerale di mia nonna, per l'esattezza in un paesottolo sperduto chiamato Scabiazza (un nome un programma), arroccato su un monticelllo.
Sono partita (insieme a mia madre) con l'idea che sarebbero stati due giorni un po' deprimenti, ma che in sostanza, per le ragioni che ho espresso nel post precedente, non mi avrebbero toccata più di tanto.
Un cavolo!
Mi sono ritrovata coi nervi a fior di pelle e tanta, ma tanta irritazione. Io già coi riti ci vado poco d'accordo; con quelli funebri, men che meno. Solitamente, tendo ad assistere tenendomi un pochino da parte, con la massima discrezione, il che secondo me è anche un modo per manifestare rispetto per chi sta soffrendo.
Tendo anche a evitare tante chiacchiere e a manifestare il mio affetto e la mia vicinanza, alle persone più coinvolte, semplicemente con un tocco della mano o un abbraccio.
Cerco anche di scappare da veglie, rosari e quant'altro, un po' perché non ci credo da un punto di vista religioso, un po' perché trovo che spesso si tirino dietro una dose di formalità che, in momenti del genere, andrebbe dimenticata a favore dell'onestà più pura.
Ma, in questo caso, non solo non mi era possibile starmene per conto mio, bensì ho anche dovuto adattarmi ai riti locali che sono un po' più, come dire, incisivi rispetto a quelli a cui sono abituata.
Anzitutto: all'interno della camera ardente, allestita all'ospedale di Bobbio (dove la nonna era stata ricoverata quando si è sentita male), bara scoperchiata fino all'ultimo momento. Cosa per me totalmente inaspettata: vedere all'improvviso 'sta cassa da morto aperta, con il corpo di mia nonna dentro, di quel colore livido/giallastro/opaco, coperto di cerone, non è stata un'esperienza che ripeterei. Dopo la sorpresa iniziale, ci ho messo parecchie ore prima di avere il coraggio di guardarla (e ancora mi chiedo perché l'ho voluto fare).
Poi: obbligo di tenere la camera ardente aperta in continuazione, tranne qualche ora la notte, e guai al mondo se fosse rimasta senza nessuno. Come se la nonna avesse avuto ancora interesse che ci fosse gente intorno alla bara e al suo corpo. Cose che per me non hanno senso, ma mia zia dava evidentemente per scontato che dovessero funzionare così (il che glielo si perdona, per carità, considerate le circostanze: dico solo che a me, 'ste robe fanno salire la pressione).
Rosario serale: anche quello dentro la camera ardente, sempre in presenza di 'sta bara aperta, e poi altre ore di veglia. Il mattino dopo, ancora veglia, poi benedizione e infine trasporto alla chiesa di Scabiazza, per funerale e tumulazione.
Di tutta la parte in camera ardente, io ho sopportato qualche quarto d'ora sparso, preferendo starmene subito fuori, o nel giardinetto dall'altra parte della strada. La brezza della sera, che da quelle parti è sempre molto piacevole, il vociare lontano dei ragazzini che andavano in giro per le strade (proprio come facevamo mia cugina ed io quando avevamo la loro età e passavamo lì le vacanze), il panorama della Val Trebbia con le sue montagne, mi hanno messa in una disposizione d'animo molto più bendisposta alla riflessione e alla meditazione di quanto avrebbe fatto qualsiasi camera ardente.
Ho scovato inaspettate risorse di pazienza anche ricevendo saluti e condoglianze di persone che nemmeno mi conoscono, ma che si sentivano sempre e comunque in dovere di dire qualcosa a tutti i parenti, dando così il segnale di partenza alla sagra della banalità, da "almeno non ha sofferto", a "certo che novantasei anni sono tanti". Ovviamente non è mancata la gara a chi ha i parenti o genitori più anziani e più malati, e non ci si poteva esimere da commenti sul tempo ("fa un bel caldo, eh?") e sul clima ("non esiste più la mezza stagione"). Ennesima dimostrazione del mio teorema secondo cui il mondo ha dimenticato il valore del silenzio e della semplice presenza, dell'esserci, essere lì.
Eppure... eppure, al termine di una giornata durante la quale in ogni istante pensavo di voler andare via da quei luoghi che per tutta la vita ho amato pazzamente, probabilmente gli unici luoghi in cui sento di avere (forse) radici... ecco, improvvisamente la Val Trebbia si è riappropriata di me e del mio affetto.
Appena rientrata in casa dei miei zii, dopo il rosario serale e le successive ore di veglia, passo davanti alla finestra, spalancata per far entrare un po' d'aria fresca, e nel silenzio della notte sento un curioso brusio di sottofondo. Mi avvicino alla finestra, cercando di identificare il misterioso rumore, e improvvisamente eccolo, capisco cos'è.
E' il mormorio del Trebbia che scorre a fondovalle.
Annuso la brezza, con i profumi che si porta dietro. Guardo fuori, i profili delle montagne che si stagliano contro il cielo illuminato da qualche stella, i boschi che coprono i fianchi dei monti, il vecchio ponte di pietre con le sue arcate e le sue gobbe, e sotto di esso lui, il grande fiume, l'incontrastato Re della vallata.
E finalmente, per quei meravigliosi istanti in cui mi balza il cuore in gola e un paio di lacrime cercano di farsi strada (a fatica, beninteso - ho pur sempre un personaggio da mantenere), mi sento di nuovo a casa.
Sono partita (insieme a mia madre) con l'idea che sarebbero stati due giorni un po' deprimenti, ma che in sostanza, per le ragioni che ho espresso nel post precedente, non mi avrebbero toccata più di tanto.
Un cavolo!
Mi sono ritrovata coi nervi a fior di pelle e tanta, ma tanta irritazione. Io già coi riti ci vado poco d'accordo; con quelli funebri, men che meno. Solitamente, tendo ad assistere tenendomi un pochino da parte, con la massima discrezione, il che secondo me è anche un modo per manifestare rispetto per chi sta soffrendo.
Tendo anche a evitare tante chiacchiere e a manifestare il mio affetto e la mia vicinanza, alle persone più coinvolte, semplicemente con un tocco della mano o un abbraccio.
Cerco anche di scappare da veglie, rosari e quant'altro, un po' perché non ci credo da un punto di vista religioso, un po' perché trovo che spesso si tirino dietro una dose di formalità che, in momenti del genere, andrebbe dimenticata a favore dell'onestà più pura.
Ma, in questo caso, non solo non mi era possibile starmene per conto mio, bensì ho anche dovuto adattarmi ai riti locali che sono un po' più, come dire, incisivi rispetto a quelli a cui sono abituata.
Anzitutto: all'interno della camera ardente, allestita all'ospedale di Bobbio (dove la nonna era stata ricoverata quando si è sentita male), bara scoperchiata fino all'ultimo momento. Cosa per me totalmente inaspettata: vedere all'improvviso 'sta cassa da morto aperta, con il corpo di mia nonna dentro, di quel colore livido/giallastro/opaco, coperto di cerone, non è stata un'esperienza che ripeterei. Dopo la sorpresa iniziale, ci ho messo parecchie ore prima di avere il coraggio di guardarla (e ancora mi chiedo perché l'ho voluto fare).
Poi: obbligo di tenere la camera ardente aperta in continuazione, tranne qualche ora la notte, e guai al mondo se fosse rimasta senza nessuno. Come se la nonna avesse avuto ancora interesse che ci fosse gente intorno alla bara e al suo corpo. Cose che per me non hanno senso, ma mia zia dava evidentemente per scontato che dovessero funzionare così (il che glielo si perdona, per carità, considerate le circostanze: dico solo che a me, 'ste robe fanno salire la pressione).
Rosario serale: anche quello dentro la camera ardente, sempre in presenza di 'sta bara aperta, e poi altre ore di veglia. Il mattino dopo, ancora veglia, poi benedizione e infine trasporto alla chiesa di Scabiazza, per funerale e tumulazione.
Di tutta la parte in camera ardente, io ho sopportato qualche quarto d'ora sparso, preferendo starmene subito fuori, o nel giardinetto dall'altra parte della strada. La brezza della sera, che da quelle parti è sempre molto piacevole, il vociare lontano dei ragazzini che andavano in giro per le strade (proprio come facevamo mia cugina ed io quando avevamo la loro età e passavamo lì le vacanze), il panorama della Val Trebbia con le sue montagne, mi hanno messa in una disposizione d'animo molto più bendisposta alla riflessione e alla meditazione di quanto avrebbe fatto qualsiasi camera ardente.
Ho scovato inaspettate risorse di pazienza anche ricevendo saluti e condoglianze di persone che nemmeno mi conoscono, ma che si sentivano sempre e comunque in dovere di dire qualcosa a tutti i parenti, dando così il segnale di partenza alla sagra della banalità, da "almeno non ha sofferto", a "certo che novantasei anni sono tanti". Ovviamente non è mancata la gara a chi ha i parenti o genitori più anziani e più malati, e non ci si poteva esimere da commenti sul tempo ("fa un bel caldo, eh?") e sul clima ("non esiste più la mezza stagione"). Ennesima dimostrazione del mio teorema secondo cui il mondo ha dimenticato il valore del silenzio e della semplice presenza, dell'esserci, essere lì.
Eppure... eppure, al termine di una giornata durante la quale in ogni istante pensavo di voler andare via da quei luoghi che per tutta la vita ho amato pazzamente, probabilmente gli unici luoghi in cui sento di avere (forse) radici... ecco, improvvisamente la Val Trebbia si è riappropriata di me e del mio affetto.
Appena rientrata in casa dei miei zii, dopo il rosario serale e le successive ore di veglia, passo davanti alla finestra, spalancata per far entrare un po' d'aria fresca, e nel silenzio della notte sento un curioso brusio di sottofondo. Mi avvicino alla finestra, cercando di identificare il misterioso rumore, e improvvisamente eccolo, capisco cos'è.
E' il mormorio del Trebbia che scorre a fondovalle.
Annuso la brezza, con i profumi che si porta dietro. Guardo fuori, i profili delle montagne che si stagliano contro il cielo illuminato da qualche stella, i boschi che coprono i fianchi dei monti, il vecchio ponte di pietre con le sue arcate e le sue gobbe, e sotto di esso lui, il grande fiume, l'incontrastato Re della vallata.
E finalmente, per quei meravigliosi istanti in cui mi balza il cuore in gola e un paio di lacrime cercano di farsi strada (a fatica, beninteso - ho pur sempre un personaggio da mantenere), mi sento di nuovo a casa.
mercoledì, giugno 13, 2007
Spaventoso sollievo
Oggi è morta la mia nonna materna, in modo abbastanza inaspettato: da anni in stato di quasi totale incoscienza, e bisognosa di essere accudita in tutto e per tutto, nell'arco di un paio di giorni ha "deciso" che era tempo di andare. Domattina porto mia madre a Piacenza, dove mia nonna viveva, e torneremo giovedì sera, dopo il funerale.
In effetti, non mi sento addolorata. O meglio: mi sento molto dispiaciuta per mia madre, che senz'altro è enormemente addolorata. Ma la scomparsa della nonna in quanto tale, semmai suscita in me un innegabile quanto spaventoso senso di sollievo.
Sollievo perché, con la sua dipartita, le persone che la accudivano (a semestri alterni, mia madre e mia zia) sono ora "libere", e di conseguenza lo sono anche le altre persone che in parte venivano condizionate dalla situazione (io, mia sorella, mio padre, mio zio, mia cugina...).
Spaventoso perché si porta dietro dei margini di egocentrismo piuttosto inquietanti.
E la finisco qui, perché al momento non mi viene nemmeno da trarre nessuna conclusione né sparare qualche massima di quelle belle ciniche che mi piacciono tanto. Mi resta solo questo fastidioso senso di disagio interiore (ed è un bel po' egocentrico anche lui, porcomondo se lo è).
In effetti, non mi sento addolorata. O meglio: mi sento molto dispiaciuta per mia madre, che senz'altro è enormemente addolorata. Ma la scomparsa della nonna in quanto tale, semmai suscita in me un innegabile quanto spaventoso senso di sollievo.
Sollievo perché, con la sua dipartita, le persone che la accudivano (a semestri alterni, mia madre e mia zia) sono ora "libere", e di conseguenza lo sono anche le altre persone che in parte venivano condizionate dalla situazione (io, mia sorella, mio padre, mio zio, mia cugina...).
Spaventoso perché si porta dietro dei margini di egocentrismo piuttosto inquietanti.
E la finisco qui, perché al momento non mi viene nemmeno da trarre nessuna conclusione né sparare qualche massima di quelle belle ciniche che mi piacciono tanto. Mi resta solo questo fastidioso senso di disagio interiore (ed è un bel po' egocentrico anche lui, porcomondo se lo è).
giovedì, giugno 07, 2007
Trascendo...?
Oggi, pranzo del giovedì con Monica, mia migliore amica di una vita. Fra le varie chiacchiere, le accenno anche di alcuni provvedimenti che sto per prendere riguardo a un paio di inestetismi che mi porto appresso da un po'.
Lei: "Non avrei mai detto... io nemmeno li noto, su di te. Queste cose, tu le trascendi."
Non "Sei una burina tamarra a cui dell'estetica non è mai fregato niente..."
Non "Alla buon'ora hai pensato di prenderti cura di te..."
Tutte cose che lei sarebbe autorizzata a dirmi, peraltro.
Bensì: "Queste cose, tu le trascendi".
E' o non è la mia migliore amica? ^___^
Lei: "Non avrei mai detto... io nemmeno li noto, su di te. Queste cose, tu le trascendi."
Non "Sei una burina tamarra a cui dell'estetica non è mai fregato niente..."
Non "Alla buon'ora hai pensato di prenderti cura di te..."
Tutte cose che lei sarebbe autorizzata a dirmi, peraltro.
Bensì: "Queste cose, tu le trascendi".
E' o non è la mia migliore amica? ^___^
Quando si accende la lampadina
Per la serie "piccole soddisfazioni".
Stavo rimuginando, devo dire senza nemmeno troppo impegno, su come organizzare una mostra. In sintesi, la situazione è che ho a disposizione una sala molto ma molto grande, ed è difficile trovare materiale a sufficienza per riempirla. Ovviamente presupponendo di organizzare, suddividere ed esporre il suddetto materiale in modo creativo e interessante, perché a raccogliere roba e buttarla lì, è bravo qualsiasi cretino.
Dovevo partire da un certo numero di sezioni, ideate dal mio arcinoto collega Caos Incarnato, ma necessitavo di integrarle, di ampliarle, insomma di fare qualcosa di più.
E d'improvviso... TAK! La luce si accende. Sono i momenti del mio lavoro che amo di più. Quando arriva l'idea giusta, quando un insieme di esigenze, necessità e ipotesi si amalgamano e trovano un'armonia inedita, che prima non avevano ma ora possono avere. La scintilla all'inizio è vaga, poi si concretizza e si frantuma in una serie di dettagli, nuove ipotesi, accorgimenti tecnici... niente che meriti un Nobel, per carità, ma esattamente quella cosa che mi serviva. Mi butto a pesce sulla tastiera del PC ed elaboro il tutto in mezza paginetta, da sottoporre a Caos Incarnato.
Ma lo so che può funzionare, che viene fuori una cosa ben fatta, che offre un servizio in più al visitatore. Sì sì, funziona. FUNZIONA.
martedì, giugno 05, 2007
Adesso basta.
Oggi potrebbe facilmente venirmi voglia di insultare / picchiare / maledire qualcuno.
Per l'ennesima e ultima volta in circa quattro mesi, mi sono state cambiate le carte in tavola su un lavoro che avevo in ballo e a cui tenevo molto. Questa non solo è la volta definitiva, ma è anche quella che mi leva questo lavoro dalle mani NON per darlo a qualcun altro, ma semplicemente per nullificarlo, dato che l'evento in questione non si terrà più.
"Perché vedi, il manager tal dei tali mette i bastoni fra le ruote, e poi ci sono conflitti tra gli sponsor e le categorie merceologiche, e allora io non me la sento di affrontare il progetto in via definitiva, e allora non se ne fa più niente e mi dispiace tantissimo e grazie lo stesso".
Umanamente, per carità, lo so che è dispiaciuto.
Professionalmente, però, ciò non toglie che sia stata una solenne inculata. Altrimenti detta: "non me la sento di sopportare il rischio imprenditoriale che questa attività comporterebbe, quindi il rischio imprenditoriale diventa tutto tuo, che lavoravi da quattro mesi a questa cosa. Io non ci rimetto denaro, tu ci rimetti (solo) tempo e frustrazione".
Almeno fosse stata una sola e definitiva volta. Uno dice: sembrava che potessimo fare questa cosa, invece così non è stato, mi dispiace, sarà per un'altra volta. E basta. Invece, cambi di carte in tavola ce n'erano stati già: si fa, non si fa, si potrebbe fare ma non è detto, tu continua pure perché vedrai che si fa, però forse sorge un problema, sì è confermata, no non è confermata, sì adesso lo è...
Dovevo capirlo. Dovevo capirlo e basta, che non c'era da contarci. Se dopodomani qualcuno se ne esce a dirmi (di nuovo!) che le cose stanno cambiando e c'è ancora speranza e tutto sommato si potrebbe tentare di aggirare l'ostacolo, e cazzi e mazzi vari, stavolta giuro che rispondo di no. E il prossimo che mi si para davanti lasciando intendere che ha per le mani una bella opportunità legata a un personaggio famoso, lo prendo a calci nelle palle prima che possa dire bao.
Per l'ennesima e ultima volta in circa quattro mesi, mi sono state cambiate le carte in tavola su un lavoro che avevo in ballo e a cui tenevo molto. Questa non solo è la volta definitiva, ma è anche quella che mi leva questo lavoro dalle mani NON per darlo a qualcun altro, ma semplicemente per nullificarlo, dato che l'evento in questione non si terrà più.
"Perché vedi, il manager tal dei tali mette i bastoni fra le ruote, e poi ci sono conflitti tra gli sponsor e le categorie merceologiche, e allora io non me la sento di affrontare il progetto in via definitiva, e allora non se ne fa più niente e mi dispiace tantissimo e grazie lo stesso".
Umanamente, per carità, lo so che è dispiaciuto.
Professionalmente, però, ciò non toglie che sia stata una solenne inculata. Altrimenti detta: "non me la sento di sopportare il rischio imprenditoriale che questa attività comporterebbe, quindi il rischio imprenditoriale diventa tutto tuo, che lavoravi da quattro mesi a questa cosa. Io non ci rimetto denaro, tu ci rimetti (solo) tempo e frustrazione".
Almeno fosse stata una sola e definitiva volta. Uno dice: sembrava che potessimo fare questa cosa, invece così non è stato, mi dispiace, sarà per un'altra volta. E basta. Invece, cambi di carte in tavola ce n'erano stati già: si fa, non si fa, si potrebbe fare ma non è detto, tu continua pure perché vedrai che si fa, però forse sorge un problema, sì è confermata, no non è confermata, sì adesso lo è...
Dovevo capirlo. Dovevo capirlo e basta, che non c'era da contarci. Se dopodomani qualcuno se ne esce a dirmi (di nuovo!) che le cose stanno cambiando e c'è ancora speranza e tutto sommato si potrebbe tentare di aggirare l'ostacolo, e cazzi e mazzi vari, stavolta giuro che rispondo di no. E il prossimo che mi si para davanti lasciando intendere che ha per le mani una bella opportunità legata a un personaggio famoso, lo prendo a calci nelle palle prima che possa dire bao.
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