domenica, ottobre 31, 2010

venerdì, ottobre 29, 2010

Mamma contro Pooh: 1 a 0 e palla al centro

Ore 21.30, cioè quando bisogna mettersi nell'ordine di idee di portare la cucciola nel lettino.

La cucciola mi guarda e pronuncia con fermezza una delle sue parole chiave: «Pù». Che sta per "Winnie the Pooh", che a sua volta sta per "voglio guardare Winnie the Pooh in televisione".

Penso: No, il DVD di Winnie no... proprio adesso, mannaggia...

Faccio la finta tonta e chiedo: «Come? Vuoi guardare Pooh?»
Risposta secca: «Scì».

Penso: Prima di vietare Pooh a quest'ora, provo a suggerire un'alternativa. Non funzionerà MAI, ma ci provo lo stesso.

«E se invece Micky e la mamma giocassero insieme alle costruzioni?»

Senza nemmeno soffermarsi a riflettere, la cucciola caracolla verso il sacchetto delle costruzioni, me lo porta sul divano, lo rovescia e mi mette i pezzi in mano. ^___^

lunedì, ottobre 18, 2010

FdC 185

Segnalazione lampo: è in edicola il numero 185 di Fumo di China, al quale ho collaborato uno zinzinino, con due recensioni: una sui due numeri speciali de Le Rose di Versailles di Riyoko Ikeda, editi da d/books (voto: 4 su 5), e una sul primo volume della nuova collana Red Robin, di Christopher Yost eRamòn Bachs, edita da Planeta DeAgostini (voto: 2 su 5).

domenica, ottobre 17, 2010

Obiettivi televisivi

Oggi, tra un lavoretto domestico e l'altro, ho fatto mente locale sui programmi televisivi che vorrei seguire nei prossimi mesi.

Anzitutto TV Talk, il sabato pomeriggio su Rai3. L'avevo seguito in maniera occasionale l'anno scorso, vorrei cercare di essere più costante quest'anno.

Poi darei volentieri un'occhiata a Effetto Domino, il lunedì alle 23.50 su La7 (soccorrimi videoregistratore...). La speranza è che sia un programma serio e divulgativo, che parla di economia senza pregiudizi ideologici.

Sempre su La7, sperimenterei anche InnovatiON, il sabato in tarda mattinata: chiacchiere e case history sulla tecnologia in tutte le sue forme.

Ancora su La7, sono tornate le care vecchie Invasioni Barbariche il venerdì sera, e qui ci va un gigantesco "bentornata Daria".


Sulla Rai, in dicembre dovrebbe arrivare Chorus, il nuovo talent show di Milly Carlucci. Normalmente odio e detesto i talent show e i reality show, ma a questo vorrei dare una possibilità, in virtù dell'argomento (corpi di ballo) e della conduttrice (che è parecchio brava e difficilmente la butta in cagnara). Se poi l'anno prossimo riparte anche Ballando con le stelle, non solo vorrei cercare di guardarlo (tanto c'è già mio marito che è appassionato di ballo e non se ne perde una puntata), ma anche di commentarlo sul blog.


Su FoxLife, il lunedì sera c'è la terza stagione di SOS Tata, l'unico reality show che serve a qualcosa (anzi, nel mio caso serve a molto... anche se, per forza di cose, sta diventando un po' ripetitivo).

E infine, sul fronte fiction, la domenica sera c'è il buon vecchio NCIS su Rai2 (che in teoria vorrei seguire, in pratica mi ritrovo sempre con qualcos'altro a cui pensare). Fra un po' dovrebbe anche partire la settima stagione di Desperate Housewives... e a quel punto, una sera a settimana non ci sono per nessuno!!!


Troppa roba? A dire il vero avrei anche in mente l'acquisto di una vagonata di cofanetti di telefilm vari, primo fra tutti Heroes che non ho mai seguito come si deve in tv... mah, vedremo, intanto prima di nanna mi riascolto il video di Vanessa Williams (nuova guest star di Desperate) che canta Kiss of the Spider-Woman. Broadway, quanto mi manchi...

sabato, ottobre 16, 2010

Fumetto e Comunicazione - quinta parte

Indice delle puntate precedenti:
Prima parte
Seconda parte
Terza parte
Quarta parte


Questo post è direttamente collegato al precedente; non aggiunge concetti nuovi, ma insiste sugli esempi di pubblicità "diverse dal solito".

Per esempio vorrei iniziare aggiungendo, a quello delle trenta famiglie di cui ho parlato la volta scorsa, altri due casi sempre targati Ikea.

Uno è il making of della recente campagna pubblicitaria “Happy Inside”, dove si vede un centinaio di gatti usufruire allegramente dei mobili Ikea. Se la campagna in quanto tale ha fatto il suo dovere, il making of è diventato una “campagna nella campagna”, è cliccatissimo in rete e ha ottenuto nuova visibilità per il marchio dell'azienda da sponsorizzare.


La campagna pubblicitaria "Happy Inside".


Il making of di "Happy Inside"

L’altro caso è una campagna pubblicitaria solo e rigorosamente online, organizzata per la promozione di un nuovo punto vendita. Copio spudoratamente dal blog di Giovanna Cosenza:

Il manager del punto vendita Gordon Gustavsson ha aperto un profilo Facebook, si è fatto un po’ di «amici» e ha cominciato a caricare foto dei suoi showroom, invitando gli «amici» a taggare gli oggetti fotografati col proprio nome: il primo che taggava un oggetto lo aveva vinto, cioè poteva passare da Ikea e portarselo a casa.
Ben presto gli amici si sono moltiplicati, come le richieste di altri oggetti da taggare…


Il video che racconta la storia della campagna Ikea su Facebook.

Segnalo anche un’altra azienda che ha consapevolmente deciso di allontanarsi dal mondo patinato e irraggiungibile delle campagne pubblicitarie tradizionali: la Dove (quella delle saponette). Con la costituzione del fondo “Dove per l’autostima” e la produzione di tre (fino ad ora) brevi cortometraggi in tema, fra cui il celeberrimo Evolution, all'interno della "campagna per la bellezza autentica", Dove si è creata una fetta di fedeli consumatrici che non si limitano a consumare, ma piuttosto condividono un pensiero, un ideale, uno stile di vita: ovvero che al mondo le top-model sono pochine, e che le donne normali non portano la taglia 38.

Una fra le immagini delle campagne pubblicitarie Dove.

Inutile dire che a queste utenti e consumatrici, più consapevoli e più smaliziate di altre, ci si rivolge soprattutto via internet.

E per concludere questa quinta parte, ecco i tre cortometraggi Dove. Nell'ordine, "Onslaught", "Evolution" e "Amy".







- fine quinta parte -

E bravo Palmiro

In mezzo a un libro trovato a casa dei miei, ho trovato un piccolo ritaglio di giornale, che sicuramente era stato mio padre a conservare.
Ecco il testo:

«E' per me motivo di particolare orgoglio avere rinunciato alla cittadinanza italiana, perché come italiano mi sentivo un miserabile mandolinista e nulla più. Come cittadino sovietico sento di valere diecimila volte di più del migliore cittadino italiano».
Queste parole furono pronunciate da Palmiro Togliatti, delegato al 16° congresso del PC svoltosi a Mosca nell'estate del 1930.

E a questo tizio(lo stesso che parecchi anni dopo avrebbe assunto una posizione come dire un tantino comoda su foibe e affini), noi ancora gli intitoliamo le strade italiane.

venerdì, ottobre 15, 2010

Ricetta - Tortino di riso e zucchine

Dedicato alla mia amica Mimma, e anche a tutte le mamme che in qualche modo devono propinare un minimo di verdura ai bambini.

INGREDIENTI
4 zucchine grosse
250g di riso
1/2 bicchiere di latte
140g di Philadelphia
2 cucchiai di parmigiano
50g di farina

PROCEDIMENTO
Mettere a bollire il riso.
Contemporaneamente, tagliare le zucchine a pezzettini piccoli e metterle a rosolare nell'olio con sale e pepe; quando sono cotte, scioglierci dentro il Philadelphia, poi spegnere il fuoco.
Aggiungere alle zucchine la farina e il latte, e rimescolare bene.
Poi aggiungere il riso lessato e il parmigiano, e rimescolare bene.
Versare il tutto in una pirofila imburrata.
Lasciare in forno preriscaldato a 180° per 20 minuti.
A fine cottura, si può decidere se servire direttamente dalla pirofila con una paletta, o se capovolgere il tutto su un piatto, e poi tirare via la pirofila, in modo che sembri una specie di zuccotto da tagliare a fette. Ma attenzione che è facile si appiccichi un po' al fondo della pirofila, quindi succede che ribaltando lo "zuccotto" ci scappino crepe e quant'altro.

Tempo medio di preparazione: io ci metto un'oretta, dal momento in cui metto l'acqua sul fuoco e inizio a tagliare le zucchine, al momento in cui sforno il tutto.

Grado di difficoltà: ovviamente è una cavolata! Resta sempre valida la regola base di tutte le cose che cucino: se ci riesco io, ci riesce chiunque. :-)

Bye bye, Sarah


Non sapevo quando sarebbe arrivata questa storia di Nathan Never, ma doveva arrivare. La attendevo da mesi, forse anche da un anno o due. E un po' ci contavo, che l'avrebbero realizzata Michele Medda e Roberto De Angelis.

Bè, è arrivata, è andata come doveva andare, è stata inserita in un contesto diverso da quel che si poteva pensare, mi ha dato la soddisfazione che speravo.

Grazie di cuore. ^___^

mercoledì, ottobre 13, 2010

Fumetto e Comunicazione - quarta parte

Indice delle puntate precedenti:
Prima parte
Seconda parte
Terza parte


È vero, ora come ora i grandi mezzi di comunicazione di massa hanno ancora un potere comunicativo superiore a quello della rete. Ma proviamo a guardare un po’ più avanti, pensando ad esempio alle statistiche secondo cui gli utenti del web aumentano esponenzialmente anno dopo anno, e diventano sempre più utenti attivi, invece che solo passivi. Quindi non si limitano a guardare dei siti web e a trarne informazioni, ma comunicano, commentano, interagiscono.

Da questo punto di vista, fare promozione in rete, sfruttando community e social network, significa sperare che prenda veramente piede – anche più di quanto non abbia già fatto – il fenomeno dell’invertising.

Invertising è un neologismo che nasce in opposizione al più noto advertising. Sta a indicare un nuovo modo di fare pubblicità, basato non più sulla comunicazione di massa e sui grandi numeri, ma sulla frammentazione dei target e sulle comunità – virtuali o meno – che quegli stessi target vanno a costituire. Insomma la versione moderna e tecnologica del passaparola. Per approfondire, si possono visitare li sito www.invertising.it e l’omonimo gruppo su Facebook.

Ecco un video che, sfrondato degli eccessi di retorica e di entusiasmo (manco l’invertising fosse la soluzione a tutti i mali del mondo), rende abbastanza bene l’idea delle destinazioni verso cui ci si sta muovendo.



In Italia, il “profeta” dell’invertising è un pubblicitario di nome Paolo Iabichino, che su questo tema ha anche scritto un libro. Non l’ho ancora letto ma conto di farlo, poi vi saprò dire. Nel frattempo, Luisa Carrada ne ha parlato qui.

La cover del libro di Paolo Iabichino.

Iabichino ha anche fatto una presentazione dell’invertising, al Festival dell’Economia, il 1 giugno 2009. Dura quasi un’ora ma vale la pena di essere vista e ascoltata con attenzione. La potete trovare a questa pagina, cliccando sul video numero 3 (non sono riuscita in nessun modo a linkarlo direttamente, sorry).

Bene; a partire dal minuto 21 del suo intervento, Iabichino dice quanto segue.

Qualche anno fa, la rivista Business Week ci parlò dei blog e di come questi avrebbero cambiato il nostro modo di fare business. Qualche mese dopo, fu la stessa Business Week a dire “Beyond blogs”, cioè “oltre i blog”. Non è più un fatto di rete, non è più un fatto di tecnologia: le persone sono connesse – grazie alla rete – in maniera nuova, in maniera inedita. E grazie a questa capacità di conversazione, stanno seriamente ridefinendo i paradigmi della comunicazione e della pubblicità. Significa che, forse, tutta quell’attenzione che noi [pubblicitari] mettevamo nell’execution, nel “pregio artistico” di ciò che facciamo, in qualche caso dovrà lavorare a favore dell’experience.
Ora vi faccio vedere una campagna che io trovo molto particolare, in questo senso.

[a questo punto viene proiettato un video con voce registrata fuori campo]
“Mamma, papà, perché non dormiamo qui, stanotte?”
Una frase, un’innocente richiesta di un bimbo ai suoi genitori, si è trasformata in una simpatica operazione di marketing dell’Ikea, la popolarissima catena svedese di ipermercati del mobile, presente un po’ ovunque.
Nella sede norvegese di Oslo, la direzione del centro d’arredamento ha selezionato e invitato una trentina di famiglie a trascorrere, appunto, una notte lì con loro, dormendo sui letti in esposizione e provando direttamente il conveniente comfort delle proposte in vendita. Ci è sembrata un’idea carina e accattivante, dice il portavoce dell’Ikea in Norvegia: “le famiglie scelte per questa iniziativa si sono dimostrate felici di toccare con mano la nostra ospitalità e la qualità dei nostri mobili.”

[Paolo Iabichino riprende a parlare]
Questi hanno avuto l’idea di far passare la notte nei loro magazzini e nei loro showroom a una trentina di famiglie, che sono state accolte, sono state intrattenute. Trenta famiglie. A noi hanno insegnato che bisognava andare in televisione per parlare a un sacco di gente. Questi hanno fatto un’operazione destinata a trenta famiglie. Le hanno ospitate, le hanno intrattenute, hanno letto le favole ai bambini, hanno offerto loro la colazione la mattina. Hanno fatto vivere a queste persone una esperienza.

Un magazzino Ikea a Roma.


L’unico commento che aggiungo io è il seguente: se una cosa del genere l’ha fatta l’Ikea, ovvero un colosso che può permettersi tutte le pubblicità del mondo e tutti i canali mass-mediatici del mondo, allora si vede che i vertici dell’Ikea - mica gli ultimi arrivati - l’hanno ritenuto un metodo efficace.

- fine quarta parte -

martedì, ottobre 12, 2010

Fumetto e Comunicazione - terza parte

Indice delle puntate precedenti:
Prima parte
Seconda parte

Stavamo dicendo: crisi. Nel generale, e nello specifico.

Eppure, ci sono sintomi “fumettosi” che sembrano ben lontani da un’idea di crisi. Rispetto a qualche anno fa, le case editrici sono proliferate, le proposte editoriali anche, la presenza nelle librerie di varia pure. Quello del fumetto è insomma un mercato in movimento, brillante, vitale, che cerca anche collegamenti con altri mercati e altri media (musica, cinema, letteratura…). C’è la possibilità, per gli autori, di ottenere visibilità, grazie al web ma non solo. Ci sono associazioni culturali che si fanno in quattro per dare delle opportunità, per divulgare, per far conoscere. Ci sono tentativi editoriali coraggiosi, che non sempre vanno in porto, o non sempre hanno una periodicità frequente né una distribuzione ottimale, ma dimostrano voglia di fare e di osare.

Insomma, non c’è solo la crisi. Se almeno si riuscisse non dico a sfondare, ma a fare breccia nel muro che separa il Fumetto (e la lettura in genere) dal Resto Del Mondo, forse qualche risultato lo si otterrebbe, perché le proposte non mancano.

Da questo punto di vista, è possibile contare sulle istituzioni?
Secondo me no, per due motivi.

Il primo motivo: quando ci ha provato lo Stato, a promuovere la lettura, ha sfornato una campagna pubblicitaria, che molti ricorderanno, basata sullo slogan “passaparola”, con quell’aspetto un po’ patinato e un po’ finto tipico (purtroppo) delle campagne istituzionali. Freddina, evanescente, fintamente bucolica… insomma poco concreta e, secondo me, poco efficace. Eccola qui:



Un po’ meglio quest’altra, che se non altro è più vivace e racconta una micro-storia...



Purtroppo, però, anche quando parte con delle idee non malvagie, la pubblicità istituzionale si porta letteralmente dietro – per sua natura – il marchio delle istituzioni, che a un popolo mediamente stomacato dai comportamenti della politica e dagli sprechi statali non fa certamente simpatia.

Spaventosa poi questa campagna realizzata dalla Fieg (Federazione Italiana Editori di Giornali) per promuovere la lettura – nello specifico – di giornali e riviste. Due immagini distinte, una per le donne e una per gli uomini:

Le due immagini (donne/uomini) della campagna Fieg.

Capito il messaggio? Non è che, se leggi, fai qualcosa di gratificante, migliori te stesso, trovi svago, fantasia, divertimento, cose interessanti… no: la sintesi è che, se leggi, sei un figo, sei uno "da salotto buono". Se non leggi, sei uno sfigato che nessuno si fila.

[per inciso e per infierire, qui trovate l'elenco dei vocaboli usati nella versione per uomini e in quella per donne: che malinconia!]

Insomma, le istituzioni e i grandi enti, pur con tutto l’impegno e – soprattutto – tutta la possibilità di investimento economico sui cui possono contare, non mi pare che brillino per fantasia, originalità ed efficacia.

Il secondo motivo: sono tempi di vacche magre. I tagli che l’attuale governo ha imposto sul fronte della cultura in generale (fra le conseguenze di cui si è parlato recentemente, c’è ad esempio la difficoltà per le biblioteche di acquistare nuovi libri) di sicuro non incentivano la lettura. Cito questa situazione come semplice dato di fatto, senza voler emettere giudizi positivi o negativi sui tagli di Giulio Tremonti; giustificati o meno che siano, comprensibili o meno che siano, costituiscono un ulteriore problema.

Se dunque il pubblico non serve, resta il privato, ovvero l’arte di arrangiarsi. Cosa nella quale gli editori e più in generale i piccoli e medi imprenduitori sono maestri, ma sempre – temo – nell’ambito del proprio microcosmo, quello di cui parlavamo all’inizio di tutto questo discorso. Peraltro, anche i nostri più grandi editori fumettosi non sono mica delle multinazionali, e non potrebbero permettersi di investire in costosissime campagne di sensibilizzazione alla lettura del Fumetto.

Cosa rimane?

Personalmente, riesco a individuare un solo canale in grado di dare risultati utili, ovvero la rete: unico strumento a basso costo che anche le piccole imprese hanno a disposizione, e che con il passare del tempo dovrebbe diffondersi sempre di più, soprattutto per quel che riguarda community e social network.

Obiezione: “Sì, ma vuoi mettere internet con stampa e televisione?”
Vero. Ma forse le cose stanno cambiando.

- fine terza parte -

Meno male, almeno questi due

Quando, mesi fa, ho letto questo post sul blog di Andrea Voglino, ci sono rimasta male come e più di lui. Da quel blog mi giungeva la notizia dell'interruzione di una bella collana di ristampe di Batman, con storie che - al contrario di Andrea - io NON ho già in altre edizioni e quindi presumibilmente non leggerò mai, il che non sarà la morte di nessuno ma io a Batman sono affezionata, e le avrei lette volentieri.

A parte la delusione e a parte il fatto che i commenti di Andrea sulle maniere un po' cafone della Planeta mi hanno fatto venire lo sbuzzo per un articolo che pubblicherò prima o poi (spero) su Fumo di China, dedicato ai rapporti diretti fra editori e lettori nell'era del web, ecco dicevo, a parte questo, il mio primo timore è stato: e se adesso mi piantano a metà anche le ristampe economiche dei Giovani Titani e di Batman & gli Outsiders, che sono entrambe a un solo numero dalla fine?

Panico. Non ho nemmeno osato chiedere informazioni al mio pusher (sarà lo stesso di Andrea?), anzi ho cercato di prenderla con stoicismo e anche con un po' di snobismo: "Oh beh, se quei due volumetti mi arrivano con le prossime spedizioni, bene, altrimenti pazienza".

Ecco: sono arrivati e quasi quasi mi scappa la lacrimuccia. ^___^

lunedì, ottobre 11, 2010

Micaela ed io: secondo anniversario

Oggi è l'11 ottobre: sono passati due anni dal giorno in cui la ginecologa mi disse "Ma signora, lei è incinta di tredici settimane!" e io poco ci mancò che svenissi sul colpo.

Se qualcuno mi chiede il giorno del compleanno di Micaela (che è il 16 aprile), mi serve sempre un attimo per fare mente locale. Ma l'11 ottobre, è una data che proprio non mi si leva mai dal cervello. °___°

Fumetto e Comunicazione - seconda parte

Orbene, una volta elencate le premesse, vado ad esporre i punti salienti del mio intervento al convegno di SlowComics.

Molti relatori prima di me avevano fatto riferimento alla crisi economica internazionale, che ovviamente non ha aiutato un mercato già fragile come quello del fumetto. Ma, un attimo... è giusto dire "ovviamente"?

Ho tentato un approccio leggermente diverso alla questione, introducendo il concetto del Lipstick Index.

Per chi non lo sapesse, Lipstick = Rossetto.

Il Lipstick Index è un indice di borsa un po' particolare. Non ho idea di quali siano gli algoritmi su cui è calcolato, ma in sostanza dovrebbe rappresentare lo stato delle vendite di rossetti e altri piccoli cosmetici a basso costo. La teoria sviluppata da tale Leonard Lauder, presidente di una grande azienda di cosmetici e inventore appunto del Lipstick Index, sostiene che in tempi di crisi il Lipstick Index sale, ovvero le donne comprano più rossetti che in tempi "normali", rispondendo così a una semplice domanda: "Cosa vogliono le donne, quando non possono permettersi di volere troppo?" Vogliono una affordable indulgence, ovvero vogliono concedersi un regalino, una piccola cosa il cui acquisto le gratifichi e al tempo stesso non le faccia sentire in colpa, perché la spesa è davvero minima.

Uno dei gestori del blog Trendspotting, che segue e studia i trend, ovvero le tendenze, in vari ambiti, è molto chiaro in materia: "When the mood of the economy around us is dark, people reach for affordable luxuries to feel better". Ovvero: "Quando l'umore dell'economia intorno a noi è nero, la gente si rivolge a dei piccoli lussi per sentirsi meglio". A occhio e croce, mi sembra che ciò colleghi implicitamente la teoria del Lipstick Index a quella branca della finanza che studia il cosiddetto Sentiment finanziario, ovvero l'influsso della psicologia umana sulla finanza internazionale (panico, euforia, prudenza, rischio, ecc). Niente su cui voglia soffermarmi adesso, ma per chi volesse approfondire suggerisco questo sito.


Grafico pubblicato sul post di Trendspotting dedicato al Lipstick Index.

Quella del Lipstick Index, comunque, non è una teoria condivisa da tutti gli economisti, anzi c'è chi sostiene che la correlazione tra Lipstick Index e recessioni sia ancora tutta da provare, e che altri fattori possono influenzare le vendite di piccoli cosmetici in varie situazioni (ad esempio se ne parla qui con molto buon senso), però c'è anche chi sostiene che in questa teoria vi sia del vero, e che vada almeno presa in considerazione.

La questione che mi ero posta quando era iniziata la recessione mondiale (dal crollo di Lemahn Brothers in poi, 15 settembre 2008 - come passa il tempo!) era: se esiste un Lipstick Index, presumibilmente destinato a salire in questo periodo di crisi, in fondo potrebbe esistere anche un - chiamiamolo così - Comics Index, un indice che prenda in considerazione l'andamento del mercato del fumetto popolare, quello da edicola (bonelliani, supereroi, manga), quello che con 3 euro o giù di lì te lo porti a casa. Se il principio è quello di spendere un'inezia per farsi un regalino, allora un fumetto da edicola sembrerebbe un prodotto adatto a questo tipo di esigenza psicologica.

Un'edicola, regno delle pubblicazioni fumettose a basso costo.

Inutile dire - bastava guardare come gli operatori del settore scuotevano la testa - che, ammesso che un Comics Index sia mai esistito, negli ultimi due anni esso è precipitato in caduta libera proprio come gli altri tradizionali indici di Piazza Affari. La domanda a questo punto diventa... perché?

La mia tesi è che il motivo sia da cercare nell'analfabetismo di ritorno del popolo italiano e forse di tutto il mondo, situazione in cui ai cosmetici (come pure al fitness e alla moda e al parrucchiere) nessuno rinuncia, mentre libri e fumetti finiscono sempre in seconda linea. Non a caso l'editoria nel suo complesso accusa da tempo segnali di crisi (tranne la letteratura per ragazzi), mentre se c'è un'industria che non conosce crisi è quella del fitness, delle palestre, dei centri benessere e della chirurgia estetica.

Quindi, si tratta di un problema di penetrazione della Cultura del Fumetto (ma anche della Cultura della Lettura in generale) nella mentalità di un paese intero. Il che è la scoperta dell'acqua calda, ma vorrei tornare al concetto del Lipstick Index per far capire come la cosa sia anche più grave di quanto già non sapessimo, perché non era poi così "ovvio" che il mercato del fumetto popolare dovesse seguire i mercati globali: insomma, per dirla in un modo un po' paradossale, se nemmeno in tempo di crisi l'economicissimo fumetto da edicola ha riscosso un minimo di interesse in più rispetto al passato, allora l'atmosfera si fa veramente grigia.

- fine seconda parte -

Hey, Big Spender...

Nel West End, è in scena fino al 6 novembre il revival di Sweet Charity all'Haymarket Theatre: una produzione che, a quanto ne so, ha riscosso successo di pubblico e critiche favorevoli.

Orbene, qualcuno di questa famiglia andrà a Londra per il ponte del 1° novembre a vedere questo spettacolo.

Quel qualcuno non sono io. Sparatemi, va'. >___<

domenica, ottobre 10, 2010

Fumetto e Comunicazione - prima parte

Tre weekend fa sono stata a Monza per partecipare alla manifestazione SlowComics, a proposito della quale un mio reportage è stato appena pubblicato su Lo Spazio Bianco. In particolare mi era stato chiesto di contribuire al convegno intitolato “Quale fumetto per il futuro”.

Appena arrivata nella sala incontri ho avuto il piacere di rivedere, dopo taaaaanti anni, Antonio Serra, che conserva un posticino speciale nel mio cuore dal momento che è stato il primo sceneggiatore di fumetti a darmi una mano quando stavo preparando il mio primo testo universitario appunto sui fumetti: una tesina su Nathan Never che avrebbe costituito il mio esame di Semiotica I.

Ciao Nathan, ciao Antonio. Grazie ancora. :-)

Antonio è arcinoto per essere molto pessimista riguardo a tutto ciò che concerne il mercato del fumetto, il suo futuro, il destino di sceneggiatori e disegnatori, eccetera. In cinque minuti di chiacchiere, mi ha fatto notare che ad ascoltare il convegno c’erano solo ed esclusivamente degli operatori di settore, niente pubblico “vero”, niente lettori. «Non vedi?», mi ha detto, «quello dei fumetti sembra quasi un mini-mercato che si autoalimenta: ormai i lettori e i produttori sono le stesse persone». Il che è come parlare di un mercato che sta morendo, perché da che mondo è mondo, per ogni mercato dev’esserci chi produce e chi consuma.

Sono salita sulla pedana dei relatori rimuginando tristemente sulle parole di Antonio. Ho potuto rimuginare a lungo perché ho avuto la fortuna di essere interpellata per ultima, quindi ho cercato di fare del mio meglio affinché il mio contributo fosse in qualche misura utile e, soprattutto, legato ai temi esposti dagli altri relatori.

I dieci dell'Apocalisse... [foto (c) Emanuela Oliva]

Per definire un po’ il contesto, riprendo alcune righe dal reportage di cui dicevo.

Presenti, al tavolo dei relatori, Paola Pallottino, Laura Scarpa, Alfredo Castelli, Vittorio Pavesio, Gianni Miriantini, Sergio Pignatone, Luigi Bona, Padre Stefano Gorla, Luca Raffaelli e la sottoscritta. Si sono affrontati vari argomenti e si è cercato di andare oltre il pessimismo (peraltro non ingiustificato) che ci coglie un po’ tutti, quando pensiamo al futuro del fumetto osservando l’evoluzione – o meglio l’involuzione – del mercato negli ultimi anni. Si è parlato di emorragia di lettori, di fiere in cui si vedono sempre le stesse facce e gli standisti fanno acquisti fra loro, di crisi economica, di tendenze, di differenze fra mercato italiano e mercato francese, nonché fra sponsor di alto livello e sponsor di piccolo-medio livello, della necessità di regolamentare l’editoria online prima di poterla considerare una vera alternativa a quella cartacea, del Giornalino con il suo continuo ricambio di lettori, dello scarso impegno delle istituzioni nel promuovere il linguaggio del fumetto e la cultura in generale, della necessità – da parte degli operatori del settore – di fare di necessità virtù sfruttando ogni canale promozionale possibile, specie quelli a basso costo legati a Internet, che se utilizzati con creatività e fantasia possono dare risultati utili.

Ecco, l’ultima parte (quella sul fare di necessità virtù) era il succo del mio intervento, succo che qui vorrei un po’ approfondire. In sostanza ho fatto un discorso, forse inizialmente un po’ sbilenco ma che alla lunga ha riscosso interesse e qualche complimento (mandandomi in brodo di giuggiole), che saltellava fra economia, finanza, marketing e pubblicità. Temi dei quali non mi sono mai interessata per mestiere, eppure ascoltando gli interventi dei miei compagni di convegno, e ripensando alle pessimistiche osservazioni di Antonio Serra, continuavo a dirmi: “qui il problema è uscire dal nostro micro-mondo, dalla nostra tana, agganciare nuovi lettori, farci notare fuori”. Ora che ci penso, diceva qualcosa del genere anche Diego Cajelli sul suo blog, per l’esattezza qui e qui.

Una faina esce pianin pianino dalla sua tana.

Mi piace l’idea di riprendere e allargare il mio intervento, in questo e altri post del mio blog, perché posso aggiungere link e video che, lì nella sala incontri di SlowComics, per ovvi motivi non erano a mia disposizione (più qualche immagine per sdrammatizzare). Dico “questo e altri post” perché il discorso è lunghetto, quindi meglio farlo a puntate (mi ci vorrà qualche giorno). E come per ogni discorso lunghetto degno di questo nome, parto dalle premesse.

Premessa numero uno. Tutto, dico tutto, quel poco che ho capito di pubblicità, marketing, comunicazione e cose del genere, l’ho capito negli ultimi due anni leggiucchiando siti e/o blog in giro per la rete (più qualche libro). In particolare quattro siti e/o blog, gestiti da quattro donne: Luisa Carrada, Giovanna Cosenza, Mariella Governo e Annamaria Testa. Facciamo quattro blog e mezzo se aggiungo anche Loredana Lipperini. Ne ho visitati anche altri, ma quei quattro li visito più frequentemente. Se ho travisato o male interpretato qualche contenuto offerto da queste fonti, sia chiaro che la colpa è mia, non loro.

Premessa numero due. Aver leggiucchiato in giro per la rete mi fornisce autorevolezza professionale in materia? Nemmeno per sogno. Mi limito a riportare concetti e case history che ritengo interessanti in generale, e quindi potenzialmente interessanti anche per quel che riguarda nello specifico il mondo dell’editoria a fumetti. Insomma non è che improvvisamente io sia diventata un’esperta di comunicazione, anzi ho gravi lacune in materia. Però da qualche parte si deve pur cominciare: tanto per dire, se dopo anni di leggiucchiamenti e curiosità varie in materia di economia e finanza, sono diventata capace di gestire i miei risparmi investendoli con soddisfazione, forse prima o poi mi scapperà fuori anche un’idea non disprezzabile per fare comunicazione sul Fumetto. Nel frattempo, può essere che scappi fuori a qualcuno più ferrato e più creativo di me. Nel qual caso, ben venga!!!

- fine prima parte -

Un numerello interessante

Ero passata al volo sul blog Lipperatura per averne sottomano l'URL e linkarlo nel mio prossimo post, quando mi sono soffermata su questo post, che riporta alcune (deprimenti) cifre giunte la settimana scorsa dalla Buchmesse di Francoforte.

Ho trovato particolarmente interessante questo passaggio:
Crollano i libri “collezionabili”, ovvero venduti in allegato a quotidiani e riviste (-31,4 per cento).
[rispetto al 2008, se ho letto bene]

Potrebbe essere l'inizio della la fine del fumetto-panino? :-)

sabato, ottobre 09, 2010

Prevenzione

Negli ultimi tre o quattro anni, mi risulta che siano usciti almeno tre libri a fumetti che trattano un brutto argomento: il cancro.

C'è Cancer Vixen di Marisa Acocella Marchetto, poi Mom's Cancer di Brian Fries, e Il cancro mi ha reso più frivola di Engelberg Miriam (e magari altri che non conosco). Non ho letto nessuno dei tre perché ho dato la precedenza ad altri acquisti, ma ho sempre pensato che fosse una buona cosa che anche il medium fumetto, come altri, facesse la sua parte per affrontare un tema così difficile e, magari, essere d'aiuto a chi quel tema lo sta affrontando in prima persona.

Però, tutti e tre questi libri sono volumi unici e destinati a un pubblico abbastanza raffinato (basti pensare che Marisa Acocella Marchetto è una vignettista del New Yorker ), che si concentra sulla storia più che sul tratto, che ha le capacità di apprezzare un certo tipo di letture. Insomma non sono per tutti, e soprattutto sono per chi ha proprio deciso che vuole leggere un fumetto su quell'argomento.

L'altro giorno, invece, nel mezzo di una lettura che più popolare non si può, e che più frivola non si può, mi sono imbattuta nell'argomento "cancro al seno". Per l'esattezza, in questo volume qui:


Ecco, se un dovesse giudicare il libro dalla copertina, gli verrebbe il dubbio che sia destinato - anche più del fumetto medio di supereroi - a nerd brufolosi che sbavano su donnine pettorute e vestite in spandex. Invece non è dedicato solo a loro. Dopo un paio di storie di Hellcat quasi fastidiose per quanto si sforzano di essere divertenti e sopra le righe (troppo sopra le righe), la miniserie Marvel Divas è in realtà un allegra e lunga citazione di Sex & the City (feste, cocktail, moda, chiaccchiere, lavoro, uomini...), con un elemento inaspettato: una delle protagoniste - Angelica - deve affrontare un cancro al seno.

Segue un iter abbastanza standardizzato nelle storie di tumori sconfitti (analisi, diagnosi, cure, deperimento, altre cure, guarigione), il tutto trattato con garbo, delicatezza e una spruzzata di avventura supereroica, ma la parte che ho trovato più significativa sono le due paginette in cui la malata ammette di aver deliberatamente trascurato la sua salute, nonostante certe vecchie avvisaglie, e di essersi ridotta a farsi vedere da un medico quando ormai la situazione era piuttosto grave. E le sue amiche ammettono a loro volta che pure loro non fanno alcun tipo di controllo periodico, sicché quanto è capitato ad Angelica potrebbe capitare a chiunque di loro.


Insomma: in un fumetto per nerd brufolosi (ma forse anche per lettrici nerd che - come me - sono rimaste incuriosite da questo Sex & the City in salsa di supereroi), quindi dove proprio uno non se lo aspetterebbe, sbuca con nonchalance un invito alla prevenzione dei tumori. Quindi non cercato come nel caso dei raffinati volumi espressamente dedicati all'argomento, ma capitato nel mezzo di una lettura popolare e leggera. A me sembra un buon modo per fare della comunicazione su un tema che non viene mai abbastanza affrontato. Anche solo quei due semplici balloon, che dicono "Non vedo un medico da... mesi? Anni? Dovrei andarci...", toccano una corda piuttosto sensibile.

Insomma, ho già pronte le impegnative per visita senologica e pap-test. Magari mi sento un po' ridicola a dire "le ho prenotate perché me lo ha suggerito Felicia Hardy", ma che diavolo, ciascuno ha il suo modo per sentir vibrare quella corda dentro di sé. Quindi grazie, Marvel Divas.

P.S. Ah dimenticavo, è pure scritto e disegnato bene: testi brillanti di Roberto Aguirre-Sacasa, disegni accattivanti di Tonci Zonjic.

Similitudini feline

Evvai coi felini. :-)


Chiaramente, da leggere tutti e due!

sabato, ottobre 02, 2010

Assuefazione

Durante il consueto giro di aggiornamenti pre-nanna, mi sono imbattuta in questa pagina di Repubblica che dà la notizia della scomparsa di Rolando Fava, il fotografo famoso per lo scatto che ritraeva il cadavere di Aldo Moro nell'auto in cui fu ritrovato.

Al ricordo di quell'evento, sono tornata indietro con la memoria. Nel 1978 io avevo sette anni e vivevo a Roma. Erano ovviamente gli anni Settanta, il che significa che fin dal primo istante in cui avevo maturato la capacità di capire qualcosa fra le notizie dei radiogiornali (che i miei genitori ascoltavano a pranzo) e dei telegiornali (dopo cena), avevo assimilato con spaventosa normalità parole come "attentato", "cadavere", "terrorismo", "vittime" e così via.

Il 9 maggio del 1978 ero in macchina con mia madre, nei pressi di Ponte Milvio. Lei non sapeva ancora che Moro era morto e che il suo corpo era stato ritrovato, io sì perché lo avevo sentito dire dal portiere del condominio, mentre aspettavo che mia madre tirasse fuori la macchina dal garage. Poi, una volta salita in macchina, non avevo pensato di dirglielo - il che già era sintomo di una mia certa indifferenza nei confronti del "mondo esterno". Senonché, passando appunto dalle parti di Ponte Milvio, un megafono o un altoparlante o qualcosa del genere stava diffondendo la notizia. Io stavo parlando con mia madre, lei d'un tratto mi interrompe e mi dice: "Zitta un momento, credo che stiano dando qualche notizia importante, voglio sentire". E io le rispondo: "Ma no, non è niente, è morto Aldo Moro".


Ecco, così funzionava il cervello di una bambina cresciuta in Italia (a Roma, per l'esattezza) negli anni Settanta. Quando tutti i giorni non senti parlare d'altro che di stragi e morti ammazzati, ti fai l'idea che sia normale. Un morto in più o uno in meno, che differenza fa.

Ho la sensazione che ultimamente, sopratuttto nei cervelli delle persone molto giovani, stia capitando qualcosa del genere su tanti fronti. Quando tutti i giorni vedi corpi femminili malamente usati in tv, ti fai l'idea che sia normale. Quando tutti i giorni senti parlare di corruzioni bustarelle e tangenti, ti fai l'idea che sia normale. Quando tutti i giorni senti i politici più in vista biascicare frasi trite e ritrite, vuote di qualsiasi contenuto concreto, ti fai l'idea che sia normale.

Possibile che debba per forza essere così?

Insomma, mi sto facendo l'idea che la parola "assuefazione" sia una delle chiavi di lettura del nostro tempo.

L'altra è "esasperazione", ma ne parlerò un'altra volta.

venerdì, ottobre 01, 2010

Audace!

Su AF News leggo che oggi è stata inaugurata a Palazzo Guinigi (Lucca) la mostra "L'Audace Bonelli", che in primavera era stata allestita a Napoli. Colgo l'occasione per uno spot e un'osservazione.

Lo spot. Sul catalogo di quella mostra, edito dal ComiCon, c'è anche un articolo mio che si intitola "Poker di donne - Legs, Gea, Lilith e Julia: fumetto popolare, italiano, femminile". Non è la prima volta che a me in quanto donna capita di essere interpellata per scrivere un articolo su personaggi femminili, e questa cosa inizia a fare il suo tempo, ma pazienza: l'articolo è stato apprezzato dai curatori (grazie, Glauco!) e io sono contenta ma proprio tanto.


L'osservazione. All'inaugrazione lucchese della mostra non c'era Sergio Bonelli che si è beccato l'influenza. C'era però Mauro Marcheselli, direttore editoriale della Bonelli, che ha tranquillizzato il pubblico e ha detto che Sergio Bonelli sarà presente «nei giorni del festival» (ovvero di Lucca Comics & Games), quando lui e gli autori bonelliani faranno delle sessioni di autografi e disegni «qui a Palazzo Guinigi».

«A Palazzo Guinigi.» NON nei padiglioni di Lucca Comics & Games.

Non so: a me questa cosa stona un pochettino, e mi ricorda l'improvviso abbandono del più importante editore italiano di fumetti durante l'edizione 2009 della fiera. Brutto presentimento, spero di sbagliarmi.